"La necessità di raccontare una storia non l'ho mai trovata altrove se non in un luogo: una città, un paesaggio" – incontro con Wim Wenders a Napoli

Il regista tedesco ha incontrato gli studenti dell’Università Federico II, in occasione della nascita degli “Annali dell’Architettura e delle città”.

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Anche Napoli avrà una manifestazione dedicata all'architettura e al design come Venezia e Milano. Tredici appuntamenti tra mostre convegni, dibattiti, seminari, visite guidate andranno a formare la prima edizione degli “Annali dell'architettura e delle città che potrà contare sulla partecipazione di tutte le istituzioni al suo più alto livello: Regione, Provincia e Comune, “Federico II” e “Seconda Università”, Ordine degli Architetti e degli Ingegneri, Soprintendenza per i beni architettonici.

La kermesse ufficialmente avrà inizio il primo ottobre ma ha già avuto un preludio di grandissimo rilievo internazionale grazie alla presenza di Wim Wenders che lunedì 26 settembre ha incontrato gli studenti della Federico II nella storica Aula Magna.

Dopo una breve introduzione di Benedetto Gravagnuolo (Preside delle facoltà di Architettura) e di Guido Trombetti (Rettore dell’Università), il regista tedesco si è subito presentato ai tanti partecipanti con una battuta folgorante: “Sono felice di trovarmi in un Università così antica. Fino a dieci minuti fa non sapevo che Federico II fosse un imperatore tedesco. Se lo avessi saputo forse non sarei venuto. Pensavo che il nome Federico fosse rivolto a Fellini. Per questo mi chiedevo il perché di quel II ”. E’ uno strano personaggio Wim Wenders. Chi lo conosce quasi esclusivamente per fama o per aver visto il suo film più celeberrimo “Il cielo sopra Berlino” probabilmente si sarà fatto l’idea di lui come di un tipo cervellotico, oscuro, cupo. Ed invece il regista tedesco parla semplice, è ironico, i suoi discorsi sono limpidi e profondi.

Intervistato da Carlo Truppi, professore di Cultura Tecnologica della Progettazione all'Universita' di Catania e autore, con Hillman James, del libro “L'anima dei luoghi” Wenders ha subito spiegato l’importanza che rivestono i luoghi nella creazione del suo cinema: “La necessità di raccontare una storia non l’ho mai trovata altrove se non in un luogo: una città, un paesaggio. Io viaggio molto ed ogni tanto mi sento attratto da un luogo. Non so dire perché però so che con quel luogo riesco ad avere un rapporto, mi incuriosisce. Questo è accaduto per tutti i miei film, nessuno escluso. Improvvisamente la storia mi viene, mi viene molto forte. Questo perché la storia in un certo senso appartiene a quel luogo. Se qualcuno mi dicesse questa è una storia trova un luogo in cui ambientarla, io non potrei farlo. Io credo si lavori proprio al contrario. Io sono ispirato prima da una città, da una terra, da un deserto e poi viene la storia. Questo può non essere l’approccio più giusto per fare un film ma sicuramente è il mio”. Ma l’utilizzo dei luoghi come parte attiva del racconto al pari di un personaggio, quel modo così personale di rappresentare i paesaggi, le strade, i palazzi non costituiscono una semplice cifra stilistica ma qualcosa di molto più profondo per il regista: “Per molto tempo dare una risposta alla domanda dove ti senti a casa è stato molto facile: sulla strada. Non volevo arrivare a nessuna destinazione, non volevo scappare da nessun luogo ma sentivo che trovarmi sulla strada era l’unica situazione mentale che mi faceva stare bene, mi faceva sentire ispirato. Dopo un po’ ho capito che, in realtà, mi sentivo a casa a Lisbona, Tokio, San Francisco, Berlino, nel West americano, nel deserto australiano e così via. Per cui ad un certo punto non ho saputo più cosa fare perché avevo la nostalgia per così tanti luoghi. Poi è emerso un altro elemento della questione: ho capito che quando mi trovavo per lungo tempo a non parlare il tedesco cominciavo a non sentirmi a casa più da nessuna parte. Così ho iniziato ad accettare la lingua tedesca come una radice molto profonda di me e la Germania come il mio paese natale, la mia casa. Berlino è una città a cui devo molto, se non fosse per Berlino, io probabilmente non sarei ritornato in Germania dopo la mia lunga permanenza in America. Berlino è una città da cui non puoi scappare. La cosa che mi ha colpito di Berlino è che era piena di spazi vuoti. Nelle città contemporanee non si trovano più queste terre di nessuno, questi deserti nel centro,quelle ferite che la storia ha lasciato dietro di se. La cosa che mi piaceva di più di Berlino era la sua vulnerabilità, la sua eccezionale disponibilità a mostrare le proprie cicatrici. Ma dopo la caduta del muro ho visto Berlino crescere,addensarsi, diventare molto simile alle altre città”.

Di Wenders ha affascinato la generosità con cui ha risposto alle domande del pubblico ed, ancora di più, quel fermarsi sempre a pensare per un po’ prima di rispondere, quel modo particolare di contrarre il viso come se cercasse la strada migliore per arrivare alla verità delle cose. Caratteristica, quella di pensare prima di parlare, che, invece, esula dalle virtù del Magnifico Rettore dell’Università Federico II, il quale, dopo essersi visibilmente annoiato per quasi l’intero incontro, è riuscito ad imbarazzare tutti con questo brillante intervento: “Se fosse possibile essere sintetici nella domanda … ed anche un po’ nella risposta, in modo da dare più ritmo”. A sciogliere il gelo è stato lo stesso Wenders che alla domanda successiva ha risposto: “Si e No” suscitando così gli applausi della folla. Questo inconveniente non ha compromesso l’incontro che anzi è proseguito con ancora più crescente interesse. C’è stato spazio, anche, per qualche considerazione sul suo nuovo film “Non bussare alla mia porta – Don't come knocking” in uscita ad ottobre in Italia: “Butte, 100 anni fa, era la città più grande di tutta la terra ad ovest del Mississipi. Era molto ricca grazie al lavoro delle miniere. Era una piccola metropoli. Poi verso la metà degli anni 50 l’attività delle miniere ha cominciato a ridursi e quindi la città è stata abbandonata e Butte è diventata forse la città fantasma più grande del pianeta. E vedere una città così immensa però così vuota mi faceva pensare ad una forte metafora. Non sapevo ancora quale, ma avevo la certezza che un giorno avrei voluto raccontare una storia che appartenesse a questa metafora. E quindi ho incontrato Sam Sheppard e ci venuto in mente di scrivere una storia a proposito dei padri perduti, di quegli uomini che hanno cinquanta o sessanta anni e non conoscono i loro figli e di tutti quei figli che non conoscono i loro padri. Alla fine ho capito cosa volevo raccontare: la storia dell’abbandono. Ma non soltanto l’abbandono della città ma l’abbandono della nostra società. Io credo che l’assenza dei padri sia uno dei mali della nostra epoca”. Nella serata, in occasione della proiezione in anteprima del film Non bussare alla mia porta, Wenders ha ricevuto il “Praemium Extraordinarium degli Annali” dal presidente della Regione Antonio Bassolino.

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