Lette e…riviste – "Possono rubarti le idee, non il cuore": Chris Doyle, l'Asia, l'America

Trent'anni in Asia, la fotografia del nuovo cinema d'Oriente, un'abilità che spazia dalla camera a mano alla più statica e meticolosa composizione iconica. FilmMaker ha intervistato Chris Doyle in una delle sue rare incursioni nel cinema americano: sul set di "Lady in the water" di M. Night Shyamalan

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Nato a Sidney nel 1952, reincarnato alla fine degli anni Settanta all'Università di Hong Kong, dove il suo professore di poesia lo ribattezza con un nome che è tutto un programma – Du Ke Feng, ovvero 'come il vento'…la mano di Chris Doyle è visibile in tutti i suoi film, anche se il grande pubblico lo conosce soprattutto per la sua collaborazione con Wong Kar-wai (Hong Kong Express, Happy Together, In the mood for love). Lo scopo dell'intervista era quello di parlare di una delle sue ultime fatiche, Dumplings: il segmento girato da Fruit Chan – storia di una donna che si nutre di polpette di carne umana – di Three…extremes, 'omnibus horror' made in Asia. Ma la conversazione è presto deragliata…


FilmMaker: Ci sono stati esperimenti nella fotografia di Dumplings?
Chris Doyle: Credo che ognuno di noi dovrebbe confrontarsi con qualcosa che non ha mai fatto prima…I film di Fruit sono estremamente 'organici'. Molto più realistici della maggior parte dei miei lavori. E' stata una sfida: metti insieme due pazzi e stai a vedere cosa succede! Ma si è trattato anche del seguito di un progetto iniziato per me un paio d'anni fa, una sorta di impegno che ho preso con il cosiddetto cinema pan-asiatico. Sento di voler celebrare la mia appartenenza a questo continente.

FM: Ti descrivi come un cineasta asiatico a cui è capitato di nascere bianco…
Doyle: Già, sono nato con il colore della pelle sbagliato (ride)… dico spesso di essere un asiatico che ha una malattia della pelle. E la maggior parte delle persone con cui lavoro mi considera tale. Ho iniziato a lavorare in Asia, con tutte le conseguenze del caso sui miei film. E tutto questo per me è motivo di onore e di orgoglio.

FM: Pensi che il cinema asiatico abbia bisogno di una spinta pubblicitaria?
Doyle: Credevo di essere io la spinta! (ride) No, non credo che ne abbiamo bisogno, credo invece che sia necessario celebrare il nostro cinema. Penso che uno dei più grandi film su Shangai sia Codice 46 ma che cos'è? Tim Robbins in una stanza d'albergo. Così, invece di fare un altro film con Gong Li e un sacco di lanterne rosse, ho pensato: "Ok, diamoci una mossa". Con Dumplings abbiamo lavorato sul consumismo – non è strano che il cinema se ne occupi così poco? – concentrandoci su un particolare aspetto, il feticismo rispetto all'estetica, alla bellezza fisica.


FM: Senti di muoverti su un territorio ostile?
Doyle: Ognuno ha il governo che si merita. Mi dispiace ma è così. Il clima che si respira oggi in gran parte del mondo occidentale è sicuramente ostile agli artisti: il loro compito è aprire gli occhi alla gente e questo non è esattamente in linea con una meritocrazia basata sul petrolio. Se non hai libertà, se non hai integrità, ti limiti a girare remake di ciò che succede altrove! Vado da Scorsese e dico: "Ok, stai facendo il remake di un mio film, Infernal Affairs. Che è stato scritto in una settimana e girato in un mese: e tu vuoi fare un remake! Ha ha, buona fortuna! Voglio dire: leggi 'Ascesa e caduta dell'Impero Romano' e capirai cosa sta davvero succedendo negli Stati Uniti […] Noi facciamo film e voi li rifate come vi pare […] Shall we dance: hai presente l'originale? Qui non parliamo mica di arte, di Kieslowski o Tarkowsky. Stiamo parlando di mainstream giapponese…


FM: E il cinema americano indipendente?
Doyle: E dov'è? Venite fuori! Andiamo, non puoi far finta di non sapere che l'unico pensiero negli USA è il box office. Non è più un'industria cinematografica, è un ufficio vendite…Ci sono solo due settori nel cinema americano: quello assicurazioni e quello commerciale. Niente più cineasti.


FM: Niente più cineasti in America?
Doyle: Se Martin Scorsese fa The aviator e poi parte col remake di un film di Hong Kong…pensaci: nessun membro della giuria degli Oscar ha meno di 65 anni. Non sanno come si usa Internet. Non hanno idea di cosa ci sia là fuori, nel mondo. Esperienze visive? Io amo Scorsese, è un grande. Come Tarantino. Ma perché un grande autore deve strisciare ai piedi dell'Oscar? Siete perduti? Sì, siete perduti.


FM: Per molti giovani artisti, in questo Paese, i tuoi film e quelli di molti altri – Francia, Asia, Iran… – sono la prova che il grande cinema esiste ancora.
Doyle: D'accordo, ma poi vado alla New York Film School e cosa vedo? Io dico ai giovani: "Just do it". Gli insegnanti invece: "Se lavori duro entro il sistema, ce la farai". Allora che si fa? Intanto, ci sono un sacco di cose che possiamo fare, anche senza molti soldi. Fai girare un DVD, mettilo on-line, mandalo ai festival. E tutto solo con una camera digitale. Voglio dire, potresti anche girare un film, adesso, qui, col tuo cellulare. Non è fantastico, in un certo senso? E' assurdo rinunciare in partenza a mettersi in gioco, invece di andare fuori e iniziare a fare qualcosa. L'unico modo è provare e vedere se funziona. Non preoccuparsi d'altro. Sì, possono rubarti le idee. Ma nessuno può rubarti il cuore.  […]

 

FM: Com'è lavorare ad un film come Hong Kong Express, girato molto velocemente, e a uno come 2046, per cui è stato necessario tantissimo tempo?
Doyle: Penso che la vera domanda sia: dov'è l'energia? L'energia è un insieme di persone che condividono un'idea. Cinque anni per 2046: il risultato è stato etereo e insieme meticoloso, con una certa dose di austerità, di rigore, e io credo che il pubblico l'abbia percepito. In Hong Kong Express semplicemente dovevamo fare le cose entro una scadenza e così abbiamo fatto. E comunque credo che ogni film a cui ho lavorato abbia la propria integrità, che vuol dire: "Yes, here we go". Niente di più e niente di meno. Dobbiamo sempre poter dire: in questo momento, in questa struttura sociale, in questa situazione politica, ecco il miglior film che potevo fare. Allora non perdere tempo, digitale, non-digitale, soldi, finanziamenti…pensa solo a fare il miglior film che puoi, con le capacità e le possibilità che hai al momento. Altrimenti, perché fare cinema quando potevamo essere in qualche ufficio del Real Estate (ride)? […]


FM: I tuoi prossimi film?
Doyle: Due, l'anno prossimo. Uno è su una cover band giapponese che suona musica country: un gruppo in fuga da quello che crede essere un boss mafioso. L'altro è sulla Cina. Come mai nessuno celebra la Cina, i traguardi che ha raggiunto? Vorrei utilizzare delle giovani donne cinesi come metafora dell'energia, del movimento che si respirano laggiù in questo momento. Anche questo, come il primo, è un road movie: dall'est all'ovest del Paese, sui soldi, sull'ambizione, sul perché la Cina è arrivata dove si trova adesso. Ed è centrato su una ragazza che rappresenta tutto questo. Sarò io il regista. Perché se continuo a predicare, ad incoraggiare i giovani, e poi non mi metto in gioco per primo…sarebbero tutte bugie, no?



"The wild man" di Matthew Ross – da FilmMaker, autunno 2005
www.filmmakermagazine.com/fall2005/features/wild_man.php 

traduzione di Annarita Guidi

FilmMaker: The Magazine of Independent Film è il quadrimestrale del cinema indipendente americano che da tredici anni informa più di 60.000 lettori con approfondimenti tecnici e interviste agli autori più interessanti e incisivi. Ogni numero dedica ampio spazio anche a festival, libri, videogiochi, DVD, film in produzione e nuove tecnologie. FilmMaker, che è stato creato dalle stesse persone che nel cinema lavorano come registi, scrittori, produttori, fotografi, cerca di fornire un'informazione all'avanguardia e 'dall'interno' sulle scelte tecniche, creative ed economiche compiute nel mondo del cinema indipendente. Edito dall'IFP – Independent Feature Project di New York (una delle più grandi organizzazioni di cineasti indipendenti negli Stati Uniti), FilmMaker è nato nel 1992 dalla fusione due riviste: The Off-Hollywood Report e Montage Magazine. Distribuito in America e in tutto il mondo, anche on-line: sul sito si può sottoscrivere un abbonamento e acquistare copie della rivista.(a.g.)

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