Mutt, di Vuk Lungulov-Klotz

Piccola odissea giornaliera in formato tre quarti dove l’amore passato si incontra con una consapevolezza identitaria legata al presente. Un cinema vivo più che mai. Vincitore del Mix Festival 2023

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C’è un gran casino nella testa di Feña. Lui, giovane ragazzo transgender, newyorkese di origini cilene, viene abbandonato dalle persone che ama poco prima di iniziare la transizione medica. Il suo sembra essere, più che mai, un nuovo inizio.

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Ma la  sua nuova vita solitaria, viene stravolta nell’arco di ventiquattr’ore, quando ritrova sul suo cammino tre figure chiave (ormai quasi dei fantasmi) del suo passato pre-transizione: il padre in arrivo dal Cile, il suo ex ragazzo John e la sorellastra di tredici anni.  Il suo “viaggio al termine della notte”, scandito in tre ipotetici atti notte-giorno-notte, riprende, quasi inconsapevolmente, i tratti di una piccola odissea giornaliera. Feña, interpretato da Lio Mehiel, deve affrontare il passato con cui ha creduto di aver tagliato i ponti. Quella nostalgia del ritorno omerica non dovrebbe esserci, eppure si sente. La si percepisce in quello che è il vero centro nevralgico della vicenda, ossia le relazioni che si sviluppano tra Feña e i suoi affetti passati, tornati presenti. Il protagonista deve “navigare nelle nuove dinamiche di queste vecchie relazioni”, cercando di far convivere l’amore radicato nel passato e la consapevolezza della nuova e completa identità raggiunta nel presente.

Il regista ventinovenne Lungulov-Klotz, all’esordio con Mutt, esprime nello spazio della sua inquadratura (in formato tre quarti) questa convivenza forzata, questo spazio di manovra tra due esseri umani che si parlano, si cercano ma si sentono vittime delle ipotetiche aspettative poste dalla controparte. Ecco che, a volte, lo spazio non è più sufficiente. Il frame relazionale diventa asfissiante e si scappa, come fa il padre di Feña rifugiandosi per una vita in Cile, o come John che si divincola dai baci e dagli abbracci del suo ex, uscendo dall’inquadratura, o come lo stesso Feña che, di fronte agli attacchi dell’ex fidanzato, decide di andarsene di casa. Ma è proprio in questa turbolenza emozionale, fatta di corse, fughe e litigi che le immagini del cinema di Vuk Lungulov-Klotz si dimostrano vive, anzi vivissime, prive di quell’austerità e distanza presenti in pellicole recenti dalle tematiche simili.

L’orchestrazione dei dialoghi tra personaggi e caratteri in scena trova il perfetto corrispettivo tecnico nella semplicità dei movimenti di macchina o dei close-up sui protagonisti che si parlano e si ascoltano a vicenda. Nulla di complicato per raccontare un passaggio di vita così complesso da gestire, soprattutto nella società in cui viviamo, ma che da oggi, forse, possiede un’ulteriore, fondamentale e sensibilissima testimonianza audiovisiva.

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