NERO/NOIR – Brilla come il sangue: il pulp di Rosso italiano

Rosso italianoDue poliziotti, uno violento, il secondo tendente all'anarchia, costretti dagli eventi ad incrociare le proprie strade, sulle tracce di un killer che quando colpisce compie vere e proprie stragi. In parallelo tre yakuza sbarcano nella stessa Milano degli efferati omicidi alla ricerca della figlia di un padrino fuggita di casa. Massimo Rainer, avvocato penalista milanese in incognito, firma un piccolo caso editoriale, Rosso italiano. Intervista all'autore.

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Rosso italianoStanchi dei soliti romanzi? Ci pensa Massimo Rainer, avvocato penalista milanese in incognito, che firma un piccolo caso editoriale, Rosso italiano. Un romanzo noir durissimo, ai limiti dello splatter, con poliziotti che sparano bordate di piombo degne dell’ispettore Callahan e assassini che trucidano peggio di Hannibal Lecter. Starebbe bene al cinema.

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Abbiamo intervistato il suo autore.

 

Presentaci il tuo esordio, Rosso italiano. La quarta di copertina afferma che è «il romanzo più cattivo dell’anno».

 

La quarta di copertina è abbastanza fedele a quella che è la struttura del romanzo, perché è una trama abbastanza complessa. E' principalmente ambientata a Milano, ma vi sono anche incursioni in altre realtà: in particolare in Giappone, perché sono affascinato da questa cultura e perché secondo me se ne parla troppo poco e sempre nello stesso modo. Mi piaceva l’idea di fare un raffronto tra il loro sistema criminale e il nostro, quindi ho pensato che fosse interessante inserire la malavita giapponese nel nostro contesto.

Poi ci sono altre città oltre a Milano e Tokyo, come Roma e La Paz. Ciò che ho cercato di fare era una storia coerente con una trama forte che fosse divertente per il lettore. Volevo soprattutto distaccarmi dal cliché dell’avvocato che scrive il solito legal thriller. Al contrario, direi che il mio libro è estremamente pulp.

E’ stato fatto appositamente per cercare di soddisfare più esigenze, sia quella del lettore che voglia semplicemente divertirsi, magari sotto l’ombrellone, e farsi due risate e un bagno di sangue, sia quella di chi desideri leggere qualcosa di costruito.

 

Come ti è venuto in mente l’intreccio?

 

Ho preso a piene mani dalla mia attività lavorativa, lo confesso. I riferimenti al tribunale di Milano, l’ufficio immigrazione, fanno parte della mia professionalità. Non c’è quasi nulla di inventato, a livello di logistica, di scene e di ambientazione. Poi ho romanzato determinate situazioni. Per ora certe cose in tribunale non si sono ancora viste.

 

I tuoi personaggi partono da caratteri verosimili e si trasformano in caricature…

 

Per renderli divertenti ho descritto i personaggi sotto forma di caricatura. Ci sono sempre degli aspetti, degli agganci con la realtà, se no non è una caricatura ma puramente finzione. In questo modo sono allo stesso tempo credibili e divertenti, a loro modo affascinanti. Ho cercato di non prendere le parti di nessuno. Non ci sono i buoni assoluti, non ci sono i cattivi assoluti, tutti nell’ambito di questa storia hanno i loro lati oscuri, le loro zone d’ombra e, in fondo, qualcosa di positivo.

 

Ci hai già anticipato che sei un avvocato penalista e che preferisci ricorrere ad uno pseudonimo… Pulp Fiction
 

Assolutamente, se no non mi farebbero più entrare in tribunale!

Come lo hai scelto?

Il nome Massimo Rainer ricorda un po’ una certa mala anni ’70, un certo ambiente «noiristico». C’è stato un periodo in cui in Italia non si poteva scrivere noir senza uno pseudonimo.

 

Perché Rosso italiano?

 

E’ stato deciso insieme all’editore. Il rosso è sicuramente il colore forte, se non altro per la presenza in quantità industriale di sangue. E abbiamo voluto dare una rappresentazione, con «italiano», della nostra società. Qualcosa che fosse attinente e che fosse di interesse. Anche se poi, come abbiamo detto prima, non si parla solo dell’Italia.

 

Prima hai parlato di romanzo pulp. Non temi che possa essere considerata una connotazione negativa?

 

Mah… per me pulp significa semplicemente divertente. Lo considero liberatorio, qualcosa che mi dà la possibilità di farmi due risate senza vergognarmi del fatto che sto ridendo della morte. E che mi permette di esorcizzare alcuni aspetti bassi della mia professione.

E’ chiaro che non è semplice ridere della morte, ridere di situazioni estreme, ridere di disgrazie altrui. No, non trovo assolutamente disdicevole il termine pulp. Il mio film preferito in assoluto, e chi avrà avuto modo di leggere il libro lo capirà in un attimo, è Pulp Fiction.

 

Infatti non viene difficile immaginare una trasposizione di Rosso italiano con Tarantino in cabina di regia…

 

Sarebbe il massimo. Se solo potessi mettermi in contatto con lui… ma credo che abbia già  tanti altri scrittori.

 

Dovendo scegliere degli attori per un’ipotetica trasposizione cinematografica chi vedresti bene?

 

Mi piacerebbe mantenere degli attori italiani, per le parti dove è possibile. Per i giapponesi no: Takeshi Kitano potrebbe essere il boss Osaka. Vedrei molto bene Gassman, mi piacerebbe molto affidargli il commissario Vallesi. Sarebbe un Gassman invecchiato, con la giusta dose di cattiveria e di ironia. Potrebbe funzionare molto bene.

Più complesso, ma qui non voglio svelare troppo, il ruolo della Dea Pagana. L’attrice di Romanzo criminale Romanzo criminalepotrebbe funzionare molto bene, con quel nome straniero. [Anna Mouglasis, ndr.] Come dimenticarla?

 

Un aggettivo per il tuo libro? Solo pulp o c’è anche altro?

 

E’ un libro «spietato», però allo stesso tempo è «tenero». E’ un libro che ha anche uno spazio sentimentale forte. Proprio perché non li giudico, e cerco di immedesimarmi, provo una forma di affetto per i miei personaggi, per quanto siano assolutamente negativi.

 

Cosa rispondi alle critiche di romanzo eccessivo, sopra le righe, troppo violento, troppo cattivo?

 

Quando l’ho scritto davo per scontate certe critiche. Però non credo che esista una forma di pulp che non sia anche eccessiva. Lo scopo è di diventare più divertente ancora, più accattivante. So di gente che l’ha bruciato in sei ore.

 

Rosso italiano ha un linguaggio cinematografico, scorre veloce. Lo vedrei bene come film.

 

Se ci fosse una casa cinematografica interessata se ne potrebbe parlare. Certamente, essendo così estremo, potrebbe essere difficile renderlo al 100%. Alcune scene dovrebbero essere edulcorate.

 

Il rischio è di farne una cavolata splatter, che nessuno prende sul serio.

 

Esatto. Perché è veramente sottile il limite tra l’estremo ma divertente e la gran cazzata.

 

Come è stato accolto? Che responsi hai avuto?

 

Sono stato pubblicato da una piccola casa editrice, è chiaro che non ci si poteva aspettare un botto di quelli da un milione di copie. Barbera Editore è una casa editrice che io consiglio di tenere d’occhio, perché ha un catalogo estremamente vasto, composito. A livello di vendite stiamo bene o male rispettando le previsioni.

I lettori lo hanno accolto con entusiasmo. Non ho quasi mai avuto delle critiche negative. Evidentemente avevoC'era una volta in America visto giusto. Si possono scrivere cose del genere anche in Italia. Credevo, sinceramente, che potesse essere po’ troppo estremo, poi ho letto ottime cose di altri autori, sempre esordienti e con case editrici di nicchia, e mi sono detto: «Si può fare».

Chi dovesse leggere Cane rabbioso di Angelo Petrella ne esce stravolto. In Italia in questo momento tantissimi scrivono cose di estrema qualità, il noir italiano, secondo me, è in un momento florido. Ho finito di leggere una settimana fa Duri di cuore, di Alfredo Colitto. E’ un capolavoro: una fucilata in fronte, bellissimo. Ed è un libro di cui non parla nessuno. Però la qualità c’è.

 

Si sta creando un movimento? La scuola noir milanese torna alla ribalta?

 

Dopo un periodo di crisi adesso si sta andando molto forte. Pur scrivendo cose molto diverse dalle mie, Paolo Roversi ed Elisabetta Bucciarelli sono sicuramente tra i migliori giovani scrittori noir in circolazione.

 

Un consiglio per giovani aspiranti scrittori?

 

Fate come me: non scrivete perché avete voglia di scrivere. Scrivete perché avete un’idea forte in testa. Scrivere per scrivere non serve a niente. Fatevi consigliare da persone dell’ambiente, non abbiate timore a far vedere il vostro manoscritto anche semplicemente a un librario, che vi possa consigliare. Scrivete quello che vi diverte, perché se diverte voi c’è la possibilità che diverta anche gli altri. Buttatevi al 100% e abbiate fiducia nelle case editrici.

 

Anche su internet hai avuto un boom di attenzione.

 

Devo dire che internet è stato decisivo. Proprio per i motivi di prima – piccola casa editrice di nicchia, non un milione di copie messe sul mercato – è ovvio che non potessi pensare che la Feltrinelli o la Mondadori lo mettessero in vetrina, a fianco di Ken Follett e Stephen King. Fortunatamente il passaparola in rete ha spinto molto.

 

Ti piace il cinema?

 

Michael CiminoSono molto appassionato. Purtroppo per mancanza di tempo, perché la mia professione ha degli orari che sono micidiali, sono più che altro un grande fruitore di DVD. Non riesco purtroppo ad andare al cinema più di una volta al mese. Però meglio vedersi un DVD alle due del mattino che non vedersi nulla.

Sono un grande fan del cinema americano. Tralasciando Tarantino: Ridley Scott, Cimino, C’era un volta in America di Sergio Leone.

Infatti chi legge il mio libro trova dei riferimenti cinematografici. Molto spesso sono dichiarati. Altre volte sono sotterranei; ho cercato di fare un po’ un esperimento, quasi una caccia al tesoro. Il lettore deve cercare di capire quel riferimento, che io gli butto lì, a che cosa faccia capo. L’ho fatto sia con il cinema che con la musica.

 

Che ne pensi del cinema noir?

 

Molto spesso è deludente rispetto ai libri da cui vengono tratti i film. Per dire: ho visto L'impero dei lupi. E’ un film osceno tratto da un libro che è un capolavoro. Io non riesco a capire come siano riusciti, da un libro così bello, a trarre una simile cavolata.

Invece in Italia si fanno delle ottime trasposizioni cinematografiche.

 

Troppo poche, forse…

 

Arrivederci amore, ciao è veramente Arrivederci amore, ciao. Funziona ed è fedele al libro. O Romanzo Criminale. Sono film che invitano alla lettura. Quindi è sicuramente un buon risultato.

 

Un’unica domanda sulla tua professione. Hai visto situazioni peggiori di quelle di cui hai scritto?

Ne ho viste di simili. Ho visto situazioni veramente estreme nel mio lavoro. La ferocia dell’uomo è superiore a qualunque costruzione letteraria. Si può arrivare a dei livelli inimmaginabili, soprattutto per disperazione. La disperazione molto spesso è la chiave che spinge le persone oltre quello che sono. Si vedono veramente cose atroci. Talvolta i mezzi di informazione ne parlano, talvolta no, talvolta si creano dei fenomeni mediatici.

In Italia c’è un livellamento verso il basso dell’informazione. C’è una tendenza a risvegliare l’aspetto più pruriginoso sotto certi aspetti e più macabro sotto altri. Arrivederci amore, ciaoI mass media hanno capito che è questo ciò che interessa, o forse lo hanno dettato loro per mancanza di altri argomenti. Così ci becchiamo per anni il plastico della villetta di Cogne, piuttosto che la descrizioni delle manine e delle unghie nel muro dei bambini che in Puglia sono caduti in quel buco, come se potesse in qualche modo aumentare la nostra cultura.

Invece io scrivo cose che sono assolutamente fiction e me ne vanto. Me ne sbatto dell’informazione precostituita. E’ per divertirsi. Io non gioco sulla pelle della gente. Io gioco sulla pelle di personaggi fantasma.

 

Libro preferito?

 

L’impero dei lupi.

 

Puoi dirci qualcosa di più sul progetto cui lavori ora? Puoi anticiparci qualcosa?

 

Era nato come un racconto breve, ora si sta espandendo per i fatti suoi. E’ una trasposizione del trentatreesimo canto dell’Inferno, quello dedicato ad Ugolino, ambientato nei nostri giorni, in chiave noir.

Fare una trasposizione di qualcosa di così grande è una sfida. E’ molto stimolante, molto difficile. Infatti ci sono dietro da due mesi e ho scritto 50 pagine; con il primo in due mesi ne avevo scritte 250: non è proprio la stessa cosa.

 

Pensi che in un futuro potresti diventare scrittore a tempo pieno?

 

A tempo pieno no. Non ho intenzione di lasciare la mia professione. L’avvocatura è la mia vita. E’ un termine forte ma è quasi una missione. Però sono assolutamente intenzionato a continuare a scrivere

 

Quindi Rosso italiano non è un episodio sporadico…

 

Speriamo proprio di no.

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