"Non credo negli stili". Incontro con Alejandro Agresti.

Strano destino quello del regista-scrittore-attore argentino: famosissimo in diverse parti del mondo, in Italia è ancora poco conosciuto. Così, per recuperare il tempo perduto, comincia dai suoi ricordi più lontani… “Valentin” è un'opera autobiografica, in cui si narra la difficile infanzia di un bambino con una famiglia sfaldata

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Com'è nata l'idea del film?


Questa storia è agli antipodi di Harry Potter. La storia è autobiografica: è un anno della mia vita di ragazzo. Volevo raccontare la storia della solitudine di un ragazzo, la relazione con suo padre e sua nonna e il periodo della sua crescita. Volevo fare un film ambientato nella Buenos Aires degli anni '60 con gli occhi di un ragazzo che ha una famiglia disunita. È una storia piccola che significa tanto. Riguarda tutti, non solo Truffaut. É bello riferire ciò che vede un bambino. La storia verte attorno a tante cose, ma il suo centro è questo bambino che vuole disperatamente formare la sua famiglia e la semplicità e la forza tipica dell'infanzia che lo aiuteranno a superare tutti gli ostacoli creati dagli adulti.


 


Perchè ha scelto Carmen Maura per il ruolo della nonna?


Perchè Carmen è semplicemente meravigliosa. Desideravo lavorare con lei già da qualche tempo. Mia nonna parlava poco; io non ricordo la sua voce ma ricordo ciò che trasmetteva con gli occhi. Ho avuto le stesse sensazioni con Carmen. Mia nonna diceva delle cose ma trasmetteva parallelamente delle altre. Carmen questo ha saputo darmi.


 


Chi è Valentin?


Valentin è un bambino vittima degli adulti. Il mondo degli adulti è insieme ipocrita e indulgente. Gli adulti hanno troppa considerazione di se stessi e i ragazzi si trovano di fronte ad ipocrisie e bugie. Valentin è solo e cerca di risolvere tutto a modo suo. Ero sempre più stanco di fare film su adulti, i ragazzi per me ora sono più importanti. I bambini non si compiacciono mai della propria sofferenza, loro cercano di andare avanti. I bambini non cercano i conflitti, ma sono travolti da essi, a differenza degli adulti. A me interessa chi va avanti nel mondo, così com'è.


Noi siamo responsabili della vita dei nostri ragazzi; noi trasmettiamo i nostri problemi a loro. Il modo in cui sei allevato determina il resto della tua vita e la maniera di relazionarti a questa. I genitori spesso prendono troppo alla leggera il modo in cui i ragazzi reagiscono al divorzio quando dovrebbero essere consapevoli del danno che arrecano. I ragazzi vedono il mondo nella maniera in cui glielo mostriamo, sono indifesi e non possono farci nulla, sono soli nel cercare di affrontarlo.


 


Dove ha trovato questo bambino?


Premetto che io ero più bello da bambino. Rodrigo Noya l'ho scelto tra 300 ragazzi che hanno partecipato ai provini. Questo bambino ha saputo incarnare simultaneamente la commovente maturità, le emozioni viscerali e l'insolenza infantile. L'alternanza tra comportamenti seri e comici, e l'ottimo carattere hanno evocato in me tutto quello che ricordavo della mia infanzia. Il bambino non è che sia un genio, ma ha tanta forza che gli viene da un grande buon senso. È tipico dei bambini che vivono da soli.

Nel film interpreta suo padre. È stato difficile?


Inizialmente non dovevo recitare nel film, ma poi le cose sono andate in maniera tale che mi sono ritrovato ad interpretare il ruolo di mio padre. Devo dire che è stata un'esperienza strana recitare mio padre con un bambino che recitava me stesso. C'è una scena del film in cui mio padre grida contro di me, colpendomi e umiliandomi con le sue parole. Io non potevo fare questa scena, mi sentivo ogni volta emotivamente bloccato, ricordavo troppo bene cosa mi ha fatto mio padre.


 


Quanto l'ambientazione è stata importante per la sua storia personale?


Questo film racconta la storia di uno dei periodi più difficili nella vita di un bambino ma è anche ambientato in uno dei periodi più esplosivi della storia argentina. Alla fine degli anni '60, in Argentina la destra e la sinistra diedero vita ad una lotta violenta per la conquista del potere, animata anche da una forte corrente antisemita. Il riferimento che faccio agli ebrei però voleva mettere in risalto più come l'ignoranza attecchisca nei luoghi conservatori, che trattare l'argomento dal punto di vista storico. È chiaro che Valentin non è un film sulla politica, perchè il bisogno d'amore, sicurezza e felicità del piccolo trascende la politica, ma al contempo i disordini e le tensioni di quell'epoca accentuano ancor più il senso d'incertezza che domina la storia, e che anche il piccolo Valentin sembra percepire.


 


E Buenos Aires?


Buenos Aires è sempre stata molto europea e potrei dire che in un certo senso è come se fosse un paese dentro un altro paese. Molti immigrati europei e americani si sono insediati qui e di conseguenza la maggior parte degli abitanti hanno radici europee. Sotto molti punti di vista, la città è una neo-colonia dell'Europa. L'aspetto del film è influenzato non soltanto dalla vivacità della città ma anche dal punto di vista iperrealistico ed esagerato di un bambino, il che mi ha portato a raccontare la città e le avventure di Valentin ricorrendo a colori accesi e a giocose inquadrature che riflettono la maniera immaginaria e fantasiosa con la quale i bambini osservano il mondo.

Dopo i suoi primi film sulla dittatura, in Valentin ha concesso poco spazio alla politica; perchè?


Semplicemente perchè questo film parla di tutt'altra cosa. Gli eventi di quei giorni sono trattati nel film ma solo per ambientare l'atmosfera del film, non come soggetto. La cosiddetta Rivoluzione degli anni '60 non ha mai portato nessun buon proposito. Noi eravamo sulla luna quando i bambini morivano di fame. Il film contiene qualche critica sociale, come nella scena (autobiografica) in cui un prete sta tenendo, dall'altare, un discorso per commemorare la morte di Che Guevara, mentre alcuni fedeli si alzano ed escono dalla chiesa. Ho inserito il Che perchè per noi bambini di allora è stato come un eroe perchè aveva i capelli lunghi, la barba e creava intorno a sé un senso di mistero.


 


Segue un particolare stile cinematografico?


Non credo negli stili. Io scrivo semplicemente la storia ed ogni cosa, la posizione della camera, la musica, la voce fuori campo, dipende da ciò di cui la storia ha bisogno. Molti registi prima tagliano l'abito e poi cercano la persona per indossarlo mentre dovrebbe essere il contrario. Prima racconti una storia e poi automaticamente tutto il resto segue. Valentin si può paragonare ai miei primi film, Secret Wedding e Love is a fat woman. Troppi film raccontano trame complicate, eroi, situazioni estreme. Il mio primo obiettivo stilistico, in questo film, era mantenere le scenografie e i movimenti di macchina da presa il più semplici possibili per far risaltare al massimo la speranza e la tenacia di Valentin.


 


 


Si sente più scrittore o regista?


Io sono essenzialmente uno scrittore. Preferisco scrivere che dirigere, perchè la regia impegna molta energia e ci sono molte persone coinvolte in un film. Anche la distanza tra la tua immaginazione, che è nella tua testa, e ciò che uno può realizzare spesso è troppo grande. Nella scrittura si ha molto più controllo, c'è un esercito in te stesso di cui tu sei responsabile e puoi fare ciò che vuoi. Ma poi ciò che voglio fare è raccontare storie e il cinema ti dà l'opportunità di raggiungere un vasto pubblico.


 


Prossimo film?


Ho appena finito di girare un altro film dal titolo Un mondo meno peggiore. Dovrebbe andare a Cannes. Non hanno ancora risposto. Credo sia un buon segno, visto che non è stato subito scartato. Solitamente i francesi non fanno passare troppo tempo prima di rispedire al mittente…


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


    


 

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