Quasi Nemici, di Yvan Attal

L’integrazione razziale è in fondo il vero tema cardine della pellicola, decisamente sensibile per tutti i francesi, sia spettatori che autori. Camélia Jordana, astro nascente, buca lo schermo

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La verità non importa, ciò che importa è avere sempre ragione“, questa la citazione, ripresa dalla distribuzione italiana per fare da sottotitolo ufficiale, che può tranquillamente fungere da chiave lettura dell’intero Quasi Nemici (lode all’inventiva dei distributori, che a distanza di sette anni dalla sua uscita, ancora cercano di cavalcare l’onda del secondo film francese di maggior successo di tutti i tempi), settima fatica da regista dell’attore Yvan Attal. L’eloquenza, allora, è il fulcro della narrazione, innanzitutto, che prima divide e poi unisce i due protagonisti. Pierre Mazard, noto professore di un’autorevole università parigina, si trova infatti costretto dai suoi superiori ad insegnare a Neïla Salah, giovane studentessa della banlieue l’arte della retorica, dopo averla umiliata pubblicamente a suon di battute razziste, riprese e condivise in rete dal resto della classe. Come si può naturalmente intuire, le lezioni “forzate” saranno il pretesto per mettere in scena i continui scontri verbali tra i due, dominati dalle loro differenze generazionali, sociali ed ideologiche, apparentemente inconciliabili in principio, almeno fino al catartico punto d’incontro che si consuma nel secondo atto.

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Il ritmo, vivace e piacevole, di Quasi Nemici è quindi perlopiù dettato dagli scambi accesi, arguti e densi di brio (come da titolo originale) dei due interpreti. Un casting che non poteva essere più azzeccato, a tal proposito, con la sicurezza esperta ed eclettica del cinema francese che corrisponde al nome di Daniel Auteuil, a “guidare” sulla scena la giovane Camélia Jordana, vero astro nascente, già cantante e salita alla ribalta del grande schermo con Due sotto il burqa. L’attrice finisce per reggere assolutamente il confronto col mostro sacro, bucando letteralmente lo schermo a più riprese, tanto da aggiudicarsi, per questa prova, il Premio César come Miglior Promessa Femminile.
D’altronde è lei la vera protagonista di questa classica storia da “brutto anatroccolo”, con la differenza che la trasformazione in “cigno” ha come obiettivo, più che il miglioramento estetico, quello sociale e culturale. I due mondi che dividono i protagonisti si vedono così ben rappresentati nella Parigi multietnica che fa da sfondo alla vicenda, dove la scelta delle location da parte di Attal si evolve sapientemente in un salto continuo tra hotel e ristoranti di lusso, frequentati abitualmente dal professore, in netta contrapposizione alle abitazioni piccole, dismesse e popolate della periferia parigina, in cui vive la ragazza. A fungere da anello di congiunzione sono le scene in metropolitana, dove il professore mette alla prova la giovane donna, ma soprattutto dove lui stesso comincia ad aprirsi nei suoi confronti, proprio nell’ambientazione più urbana e culturalmente eterogenea che ci possa essere.

L’integrazione razziale è in fondo il vero tema cardine della pellicola, decisamente sensibile per tutti i francesi, sia spettatori che autori, dato che lo stesso Yvan Attal nasce a Tel Aviv, in Israele, prima di trasferirsi con la famiglia, in tenera età, a Crèteil vicino Parigi. Argomento sensibile, sì, indiscutibilmente attuale, ma sicuramente rischioso, ed infatti è qui che si riscontra l’intuizione più ammirabile della sceneggiatura (firmata dalle otto mani di Victor Saint-Macary, Yaël Langmann, Noè Debre e dello stesso Attal). Scegliere la retorica come terreno di dibattito e riflessione di un tema che potrebbe facilmente attirare le argomentazioni più scontate e ridondanti che esistano, è semplicemente l’esempio della maniera brillante, e tutta francese, in cui è possibile giostrarsi con maestria su di un terreno tanto scomodo e pericoloso. Scelta anche indubbiamente furba, certo, ma che riesce ad elevarsi ulteriormente sul finale, avente il merito di discostarsi da un andamento della trama fino a quel momento più che lineare e prevedibile, decidendo di focalizzarsi più sulle persone, sulla loro fragilità e le loro umane contraddizioni, piuttosto che sulla lezione già pronta e finita da infondere al pubblico, sulla quale tanti altri sarebbero invece caduti. E allora, anche solo per questo, Quasi Nemici si merita tutti i retorici complimenti del caso.

Titolo originale: Le Brio 
Regia: Yvan Attal 
Interpreti: Daniel Auteuil, Camélia Jordana 
Distribuzione: I Wonder Pictures 
Durata: 1h e 45′ 
Origine: Francia, 2018

 

 

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