"Quel nano infame", di Keenen Ivory Wayans

Non c'è alcuna traccia di passione nella pellicola firmata dalla 'famiglia' Wayans, nessuno slancio che ci avvicini al 'cinema', alla vita di tutti giorni o, semplicemente, alla risata liberatoria e rigenerante.

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A parte eccezioni sporadiche e sorprendenti, come ad esempio il recente secondo capitolo de La scatenata dozzina, la commedia americana di consumo sta attraversando una fase di profonda crisi ispiratrice e, soprattutto, di grave confusione ideologica. Sono troppe le occasioni in cui è sempre più riscontrabile, in tali prodotti, una cronica incertezza sui toni comici da assumere. Troppo spaventati dalla risata anarchica o dall'iconoclastia demenziale, elementi questi che negli anni '80 erano in un modo o nell'altro quasi sempre stati tradotti felicemente, e allo stesso tempo privi di quella sincerità sentimentale capace di produrre un alto coinvolgimento emotivo, le pellicole che ne risultano appaiono monche, approssimative, prive di un'identità certa e di una solida struttura. Quel nano infame, in tal senso, non fa eccezione. Il film di Wayans è, infatti, uno strambo e non troppo felice miscuglio tra la commedia famigliare, con stralci di fragile comicità scatologica, e pillole di action movie fracassone e parodistico. Molta carne al fuoco senza che emerga un'anima precisa, un'intenzionalità capace di dare una pur minima coerenza al progetto.

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Il nano Calvin (ben riusciti gli effetti speciali 'rimpicciolenti' su Marlon Wayans), appena uscito di galera, si mette a rapinare una gioielleria per portar via un prezioso diamante per conto di un boss mafioso (uno Chazz Palminteri troppo imbolsito per essere 'vero'). Durante la fuga è però costretto a nascondere il gioiello nella borsa di una coppia di sposi ancora senza figli, Vanessa e Darryll. Quest'ultimo per parte sua coltiva come un'ossessione il pallino della paternità e così, sfruttando la situazione, Calvin si spaccia per un neonato abbandonato e riesce a introdursi nella famiglia, inizialmente senza generare alcun sospetto nella coppia. Chiaramente ne combinerà di tutti i colori…ma ciò non gli impedirà di stabilire legami. Quel nano infame non è solo un film dalla sceneggiatura improbabile, a sprazzi volgare e stilisticamente rozzo, ma è anche e soprattutto pellicola desolante nella sua mancanza di amore. Non c'è alcuna traccia di passione nella pellicola firmata dalla 'famiglia' Wayans, nessuno slancio che ci avvicini al 'cinema', alla vita di tutti giorni o, semplicemente, alla risata liberatoria e rigenerante. C'è anzi sempre la furba tendenza a perseguire le soluzioni ridanciane più comode e grossolane. Il film si prende le sue piccole rivincite in pochi frammenti politicamente scorretti, dove macchiette di secondo piano incidono maggiormente rispetto agli interpreti principali (il poliziotto di colore che pesta indiscriminatamente un civile nero per il solo fatto di essere afroamericano come il sospettato a cui sta dando la caccia, la famiglia 'bianca' arrogante e competitiva). Sono, però, gli unici spunti degni di un certo interesse all'interno di un'operazione  noiosa, prevedibile, quasi claustrofobica nella sua assoluta mancanza di idee e leggerezza.

Titolo Originale: Little Man

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Regia: Keenen Ivory Wayans


Interpreti: Alex Borstein, Marlon Wayans, Lochlyn Munro, Gary Owen


Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia


Durata: 102'


Origine: Usa, 2006

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