Rendez-vous 2023 – Incontro con François Ozon e il cast per Mon Crime

Il regista francese ha incontrato la stampa insieme a Rebecca Marder e Nadia Tereszkiewicz per presentare il suo ultimo film in occasione dell’inaugurazione del festival romano

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“L’idea è nata dopo aver fatto una serie di film drammatici e dunque dalla voglia di tornare alla commedia; in particolare il periodo del lockdown è stato molto difficile in Francia, come immagino anche in Italia, e ho avuto proprio desiderio di qualcosa di più leggero; ed è stato allora che ho scoperto questa pièce e ho capito che poteva rappresentare la conclusione di una ideale trilogia sulla condizione femminile che è iniziata con 8 donne e un mistero ed è continuata con Potiche.

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Si è aperto così l’incontro romano tra la stampa e François Ozon, il regista francese classe 1967, presente in città per presentare il suo ultimo film Mon crime – la colpevole sono io. Un progetto che uscirà in sala il 25 aprile e che, con la proiezione al Nuovo Sacher, inaugura la 13° edizione dei Rendez-vous.
Il soggetto del film, libero adattamento di una commedia parigina del 1934 scritta da Georges Berr e Louis Verneuil, racconta una storia di riscatto femminile; una storia che ha permesso al regista di mescolare due registri differenti, fondendo la pièce a tematiche profondamente contemporanee: “Devo ammettere di aver adattato questa piece e di averla radicalmente cambiata, ammette il cineasta; il tono originale, possiamo dirlo, è di fatto misogino; le due donne non sono complici ma più che altro rivali e il personaggio interpretato da Isabelle Huppert? dovrebbe essere un uomo. Sono intervenuto in maniera radicale proprio per riuscire ad aggiungere una dimensione contemporanea perché volevo che il mio film dialogasse con l’oggi e con le tematiche che tanto ci stanno a cuore. E volevo poter parlare di parità di genere mantenendo allo stesso tempo un tono ironico”.
A portare in scena Mon crime – la colpevole sono io è un cast che può vantare interpreti del calibro di Isabelle Huppert, Fabrice Luchini, André Dussolier; grandi star che, sottolinea Ozon, hanno saputo fare un passo indietro e dimenticare il proprio ego per consentire alle due giovani protagoniste, Rebecca Marder e Nadia Tereszkiewicz, di brillare: “per me era fondamentale trovare le due protagoniste perché il film poggia letteralmente sulle loro spalle. È stata una ricerca molto lunga; inizialmente non conoscevo queste due straordinarie attrici e le ho scelte dopo essere giunto alla conclusione che sono senz’altro le migliori della loro generazione. Devo dire che quando le ho viste insieme immediatamente si è creata questa chimica straordinaria considerando anche la difficoltà di questo film che è estremamente parlato e si basa su un testo con una lingua differente da quella che utilizziamo oggi”.
Un entusiasmo condiviso anche dalle due attrici: “Io ero contentissima, racconta la Tereszkiewicz, perché quando ho letto la sceneggiatura ho percepito la forza di questa “sorellanza”, data dall’unione tra due ragazze che vogliono scappare dalla propria condizione e trovare il modo di difendersi; inoltre, aggiunge la Marder, era molto importante riuscire a mantenere la sincerità di idee tanto importanti e per esprimere la modernità di questi ideali era fondamentale trovare una chiave autentica, come se ci fosse da un lato il bisogno di creare la distanza rispetto agli anni ’30 e dall’altro di colmarla proprio per renderci conto della strada percorsa e di quanta ancora resta da percorrere”.
Una vera e propria missione affidata ai toni e agli stilemi della commedia, genere amatissimo da François Ozon che non ha nascosto la sua grandissima passione per “la screwball comedy, questo genere nato e sviluppatosi negli Stati Uniti tra gli anni ’30 e ’40, spesso grazie a registi tedeschi in fuga dal nazismo, che avevano dunque lasciato il proprio paese per trovare rifugio altrove. Questi cineasti hanno dato vita alla miglior commedia effervescente dell’epoca, pensiamo a Lubitsch e Billy Wilder per esempio. Nel mio film avevo voglia di ritrovare questo spirito e per evocare quegli anni ho reso omaggio a Amore che redime, film di Wilder da lui realizzato in Francia prima di emigrare per gli Stati Uniti e nel quale compariva Danielle Darrieux, con cui io ho lavorato in 8 donne e un mistero; ecco perché l’omaggio a quelli che sono i due angeli custodi di questo film”.
Sull’importanza del progetto in termini di parità di genere afferma invece: “Io credo che il metoo sia stato un movimento molto positivo perché ha permesso a tante persone, a tante donne, di prendere parola e parlare liberamente di quello che avveniva in un ambiente così gerarchizzato come quello dell’industria cinematografica, dando quindi una giusta narrazione di tutto ciò che era avvenuto anche e soprattutto in termini di abusi. Detto questo non c’è rivoluzione che avvenga senza eccesso e anche nel film le due donne ricorrono a una sorta di violenza, di crimine; ma non si tratta di un’apologia di crimine e violenza da parte delle donne. Per me era importante raccontare la trasgressione di due donne negli anni ’30, necessaria a reagire all’oppressione che erano costrette a subire in un periodo in cui il patriarcato imperava”.
Una posizione a cui Marder e Tereszkiewicz non possono che allinearsi, sottolineando l’importanza di poter “dare voce a due donne visionarie, intenzionate a mettere tutte loro stesse per riuscire a fare ciò che hanno sempre sognato”.
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