#RomaFF12 – Stronger, di David Gordon Green

Dopo Joe e Manglehorn un altro personaggio maschile per David Gordon Green, che racconta la storia vera di Jeff Bauman, eroe nazionale dopo l’attentato a Boston.

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Forse per diventare uomini in America bisogna per forza di cose essere anche degli eroi. Ne sa qualcosa Jeff Bauman, vittima dell’attentato che il 15 aprile del 2013 colpì la città di Boston durante la maratona e che gli portò via le gambe. Una storia di caduta e rinascita la sua, un emblema dell’America che non cede al terrorismo, ma anche riflesso di una società dello spettacolo che deve alimentarsi di miti e in cui il confine tra pubblico e privato è ormai indistinguibile. Bauman privato delle gambe diventa un eroe in primo luogo per la famiglia, morbosamente disfunzionale e ossessionata dai media e diretta da una strepitosa Miranda Richardson, e quindi per la città, che conia lo slogan “Boston strong”, per i giornalisti, che fanno su di lui servizi televisivi, e per il mondo dello sport sempre in prima linea per consolidare il legame tra spettacolo e verità. A completare il mosaico resta la compagna Erin (Tatiana Maslany è una sorpresa), che invece coltiva la componente umana e sentimentale di Jeff. E’ suo il compito più difficile: far diventare una vittima non soltanto un’immagine eroica, ma anche un compagno per la vita, un padre. In altre parole Erin è l’elemento fondamentale per (finire di) fare di Jeff un vero americano. E così David Gordon Green firma il suo piccolo romanzo di formazione di un americano medio che deve superare simbolicamente e fisicamente un trauma e una menomazione, per risorgere come uomo e come partner. Alla fine diventa una specie di emanazione cristologica, con cui tutti i cittadini feriti degli Stati Uniti devono comunicare, confessarsi, interfacciarsi per trovare una nuova strada (o forse una “nuova” America?). Non è un caso che al termine di Stronger vediamo il protagonista rialzarsi in piedi grazie alle protesi e quindi… risorgere. L’elemento più interessante è però il conflitto tra l’eroe che tutti vogliono vedere e l’uomo che ancora deve diventare. E qui il film assomiglia tantissimo, grazie anche ai molti riferimenti alla guerra in Iraq e alla sincera retorica che lo sostiene, ad American Sniper di Clint Eastwood, di cui Stronger ne è quasi una revisione proletaria e low budget. 

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Dal quarantaduenne regista americano insomma arriva un altro film su un personaggio maschile, sfaccettato come i precedenti – e a dire il vero non particolarmente riusciti – Joe e Manglehorn. Stavolta dopo Nicholas Cage e Al Pacino, tocca a Jake Gyllenhall (qui anche produttore esecutivo e, forse, in corsa per un nomination all’Oscar), l’onere di sottoporsi al trattamento un po’ “neorealista” e un po’ hollywoodiano (con il metodo che c’è e non c’è) del cinema di Green, che pur non essendo ancora un regista affascinante, qui lavora di piccole cose, dimostra di avere le idee chiare e scena dopo scena porta a casa il suo film migliore.

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