S1møne, di Andrew Niccol

Ispirato dalle pagine di Philip K. Dick e vicino all’idea di cinema come grande illusione e perdita d’identità cara al Welles di F for Fake, Niccol si conferma grande romanziere di forme filmiche

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Pochi registi sembrano aver intuito che tutta la potenza del cinema riposa nella sua capacità di cogliere e mostrare gli aspetti “spettrali dell’accadere” – per rubare le parole di una icastica formula letteraria creata da Robert Musil nei suoi diari -, in quella costante possibilità di presentificare il fantasma, di renderlo vivo e pulsante nella dimensione senza spazio né tempo che è la superficie di uno schermo cinematografico. Spesso le immagini invitano ad andar oltre la materia del reale, seguendo il passo e la figura delle ombre dei corpi e delle cose, scrutando le forme e ridisegnando i contorni degli oggetti e degli orizzonti creati dalla macchina da presa. L’arte del mettere in scena risiede interamente nelle regole di questo gioco di specchi e rifrazioni, di continui rimandi e riflessi fra la necessità del reale e la possibilità del virtuale, fra l’ideale di un immaginario prodotto dal disegno creativo del regista e la durezza di una materia difficile da plasmare che affiora continuamente fra le pieghe di celluloide.

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Probabilmente Andrew Niccol è il regista che meglio di chiunque altro continua a riflettere e a interrogarsi sui meccanismi di produzione dell’immaginario collettivo, sul rapporto che corre fra un autore e le sue creature, sulla possibilità che le immagini hanno di incidere e modificare la nostra vita quotidiana spostando emozioni e sentimenti al di là dello schermo, dentro un misterioso universo di semplici inquadrature o più sofisticati pixel. Dalla nietscheana società di superuomini di Gattaca al mondo acquario mediatico di The Truman Show passando ovviamente per le metamorfosi visive di S1møne, ogni film di Niccol è attraversato dalla vertigine dell’atto creativo, dalla tentazione di produrre un presente altro e diverso, così perfetto da risultare alla fine pericoloso e totalitario, un inganno dei sensi che atrofizza passioni e desideri. E’ la forza irresistibile dell’ideale, dell’astratto, del vuoto simulacro. Come il folle autore televisivo inventore del The Truman Show anche il Victor Taransky/Al Pacino di S1møne è un’altra moltiplicazione dell’io del regista demiurgo prima affascinato poi quasi sopraffatto dalla sua creatura virtuale che popola tutti i mondi possibili raccontati da Niccol, un uomo in grado di condizionare la realtà mettendo in scena il fantasma, illuminando ancora una volta la spettralità dell’accadere.

Ma il talento visionario di Niccol sembra non accontentarsi più di esplorare solo le dinamiche genetiche che uniscono in cordone ombelicale l’artefice e il suo cosmo sintetico, l’oggetto materiale e la sua protesi visiva; perché in S1møne la sottile linea di demarcazione, quel confine che separa il mondo dal suo spettro – il mare nero di Gattaca, il cielo di plastica che scala Jim Carrey in The Truman Show – non esistono più. “Tutta la realtà è falsa” afferma il prestigiatore di corpi Taransky in una splendida sequenza del film, mentre la bara dell’attrice di vetro scoperchiata dai poliziotti contiene solo una grande fotografia, un’altra forma senza carne. Puro spettro, fantasma impalpabile. E se i protagonisti delle altre visioni private di Niccol vagano in cerca di un punto di fuga, di una breccia fra le pareti di strutture virtuali, S1møne è rinchiusa definitivamente nel suo involucro irreale, fedele e sinergica duplicazione del suo creatore, macchina di sogni e desideri di plastica pronta a regolare il mercato delle emozioni dell’inconscio collettivo. Ormai ogni produzione di soggettività è solo espressione di un conatus di pura virtualità e anche Hollywood, forse l’arma più potente che l’America ha avuto per ridisegnare il nostro presente e passato, è solo uno strumento per celebrare ed amplificare l’estetica del falso, un luogo di corpi e membra che Niccol/Taransky si diverte a “riscrivere” e manipolare in quell’unico ologramma filmico che è lo spettro pulsante di S1møne.

Sempre ispirato, seppur indirettamente, dalle pagine di Philip K. Dick – non a caso autore di un libro intitolato I simulacri, forse lo scrittore che più di ogni altro ha influenzato la poetica di Niccol,- e vicino all’idea di cinema come grande illusione e perdita d’identità cara all’Orson Welles di F for Fake e Rapporto confidenziale, il regista di S1møne si conferma grande romanziere di forme filmiche, testimone di una cinema che ha ben compreso che leggere politicamente il nostro tempo è solo questione di corpi, desideri e vuoti simulacri.

 

Titolo originale: id.
Regia: Andrew Niccol
Interpreti: Al Pacino, Rachel Roberts, Catherine Keener, Evan Rachel Wood, Jason Schwartzman, Winona Ryder, Pruitt Taylor Vince, Jay Mohr
Distribuzione: Nexo
Durata: 104′.
Origine: USA, 2002

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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