In un’apparente, tranquilla e serena famiglia francese sta per emergere un dramma che la metterà inesorabilmente in ginocchio. Claire (Maud Wyler) è un avvocato con due bambine piccole ed è sposata con Thomas (Grégoire Colin), un ingegnere ambientalista. Vivono in una casa che ben rispecchia i caratteri di entrambi, raffinata abitazione arredata con gusto tra il moderno e il classico. Una sera lei ascolta jazz e ha appena messo a letto le figlie, lui è ancora a lavoro, dedito alla salute dei suoi alberi nel bosco. Un’ellissi riporta Thomas nel suo soggiorno a mangiare formaggio accompagnato con un bicchiere di vino e mentre attraversa la stanza al buio inciampa nel corpo della moglie riversa in una pozza di sangue. Parte così il “detection film”, Claire è portata d’urgenza in ospedale e lui si ritrova al commissariato a rispondere su alcune domande. È stato ritrovato un neonato in una busta della spazzatura sul cassonetto dell’immondizia fuori casa che è stato partorito dalla stessa Claire.

Quel neonato abbandonato è la prova di un tentato infanticidio, ma Claire invece sostiene di non aspettare alcun bambino, anche perché lo stesso suo fisico non mostra segnali evidenti di uno stato interessante. Claire viene incarcerata e l’indagine si apre, Sophie (Géraldine Nakache) prenderà in carico le sorte dell’amica, nonché collega. Emerge da subito un fenomeno psicofisico ancora difficilmente accettato fuori dall’ambiente scientifico e clinico: la negazione di gravidanza. Non solo Sophie dovrà convincere la giustizia ma anche lei stessa e Thomas.

Senza prove è basato su un fatto di cronaca realmente accaduto in Francia circa nove anni fa. Béatrice Pollet, attraverso un’indagine giudiziaria, tocca aspetti molto delicati dell’esistenza umana, in cui diventa praticamente impossibile distinguere la vittima dall’omicida. Poco alla volta, con salti temporali e flash mnemonici, i fili del passato si riallacciano e si scopre un trauma giovanile non risolto nella vita di Claire, un dramma sottaciuto anche dalla mamma di lei.

Come è possibile che Claire non abbia la consapevolezza del parto mentre si dovrebbe invece soltanto considerare di un caso di svuotamento? Medea o inconsapevole “vittima” transgenerazionale? Pur se c’è un impianto piuttosto convenzionale, l’opera ha il coraggio di affrontare argomenti terribilmente complicati da rendere da un punto di vista cinematografico. Béatrice Pollet mette in gioco, o quantomeno prova a rendere palpabili, con passaggi da ambienti naturalistici, intimi, familiari, con possibile compromissione del contatto umano, le alleanze inconsce o i legami inconsci, ciò che si trasmette, ciò che non si contiene, ciò che non si ricorda; la colpa, la malattia, la vergogna, il rimosso, gli oggetti perduti. Sono questi gli oggetti che, muniti dei loro legami vengono trasportati, proiettati negli altri. Una presa di coscienza forte auspica la regista, all’interno di un’aula di tribunale, all’interno di contesti potenzialmente ostili: farebbe da “facilitatore” attraverso il suo set fenomenologico, non sempre convincente, intento a riportare in vita frammenti di vissuto emotivo per la riappropriazione del corpo.

 

Titolo originale: Toi non plus tu n’as rien vu
Regia: Béatrice Pollet
Interpreti: Maud Wyler, Géraldine Nakache, Grégoire Colin, Roman Kolinka, Fanny Cottençon, Pascale Vignal, Pascal Demolon, Ophélia Kolb, Fatima Adoum, Thierry Calas
Distribuzione: Kitchen Film
Durata: 92’
Origine: Francia, 2022