Sotto le stelle di Parigi, di Claus Drexel

Nella storia di una clochard che cerca di far ricongiungere un bambino immigrato con sua madre, la solidarietà è solo un cavallo di Troia in cui nascondere l’utilitarismo.

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Sotto un ponte dal quale è possibile vedere una Notre Dame ancora intatta si apre un pesante portone di metallo. Nel buio di una notte che sta finendo si muove claudicante una figura bardata di stracci, che va ad accucciarsi dietro una colonna per urinare. È Christine, la clochard protagonista di Sotto le stelle di Parigi, diretto dal tedesco Claus Drexel. Quando un sole invernale assonnato sale non troppo nel cielo, Christine comincia le sue peregrinazioni quotidiane con in mano le tre buste che sono tutti i suoi averi. Una notte, durante una nevicata, Christine si sveglia sentendo il portone scricchiolare. È Suli, un bambino di origini africane che non parla una parola di francese. Christine guarda i suoi ricci imperlati di neve, lo caccia fuori dal suo rifugio e se ne torna al suo giaciglio. Appena sotto le coperte, Christine ci ripensa e accoglie nel suo rifugio il ragazzino.

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Da qui in poi, Sotto le stelle di Parigi procede come una sfera su un piano inclinato, costretta dalla gravità a una traiettoria inevitabile. Prima un debole tentativo di prendere le distanze dal piccolo, poi un salvataggio quando questo finisce nei sotterranei della città e viene aggredito da dei senzatetto che vi abitano e infine il percorso di redenzione alla ricerca di sua madre. È proprio la scena con la quale si chiude il primo quarto d’ora, però, a essere emblematica della rinuncia del film. I rimorsi di Christine sono l’abbandono di qualsiasi sfida allo spettatore, al quale sarà richiesto di provare compassione solamente per personaggi che fanno di tutto per meritarsela.

La costruzione di Sotto le stelle di Parigi permette di empatizzare solo con personaggi o ridotti all’esclusiva funzione di buoni samaritani o che nascondono malamente un qualche tipo di superiorità intellettuale. La stessa Christine dietro il suo modo di esprimersi con suoni che sembrano quelli di una corda tesa nasconde un passato da ricercatrice scientifica. Non è apertamente, invece, uno sguardo caritatevole con il quale vengono mostrati i senzatetto nelle profondità di Parigi, messi in scena come una massa di zombie. Non lo è nemmeno quello con cui sono ripresi gli individui integrati nella società, capaci di buone azioni solo quando rendono sopportabile il peso di idee abiette, come nel caso del netturbino che concede a Christine di dormire nel suo rifugio.

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La compassione e l’aiuto reciproco diventa così in Sotto le stelle di Parigi solamente uno scudo, un modo per poter rimanere sui binari prestabiliti senza sbandare troppo. In pratica, la solidarietà diventa solo un cavallo di Troia dentro cui nascondere l’utilitarismo, alla quale viene ridotta anche la condizione di senzatetto come si può leggere fra le righe del finale dolceamaro. Questo diventa l’ultimo, a suo modo eloquente, scarto di questioni ben più spinose e contemporanee: se Christine, tornata nel suo rifugio, non avesse ceduto ai rimorsi, per il film avremmo dovuto avere comunque compassione per lei? Cosa succede alla solidarietà quando questa esce dal campo della convenienza e, anzi, diventa un ostacolo per i canoni della società in cui si vive?

Titolo originale:

 Sous les étoiles de Paris


Regia: Claus Drexel
Interpreti:

 Catherine Frot, Mahamadou Yaffa, Jean-Henri Compère, Richna Louvet, Raphaël Thierry


Durata: 82′
Distribuzione: Officine UBU
Origine: Francia, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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