SPECIALE TRUE DETECTIVE – Carcosa Streaming

Il capovolgimento che True Detective opera a più livelli è sui piani di importanza completamente rovesciati tra messinscena e backstage, dietro le quinte. Una stratificazione di formati che finisce per ingolfare magnificamente lo scorrimento seriale, la progressione delle informazioni che sembra invece procedere per grumi, cluster intermittenti interrotti da lunghi b-roll

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E' evidente sin da subito che a Pizzolatto e Fukunaga in realtà poco interessi del meccanismo “giallo”, dell'intrigo della detection, dell'inghippo dell'indagine – che pure curano con spaventosa dovizia di false piste, indicazioni nascoste, segnali di fumo, traiettorie lasciate aperte (elementi che fanno tutti insieme la gioia del pantagruelico movimento social gonfiatosi intorno alla serie durante la propria diffusione in rete, in larga parte clandestina): il pianosequenza alla fine del quarto episodio sarà pure un gran pezzo di cinema – e verosimilmente lo è, se ancora il termine “pianosequenza” vuol dire qualcosa associato ad una soluzione formale utilizzata all'interno di un prodotto per la tv che tutti abbiamo visto sul pc – ma di fatto serve soprattutto a nascondere l'assoluta gratuità della parentesi da wild angel infiltrato di Rust Cohle.
Che meraviglia: ignorando spacconescamente ogni dittatura della scansione serrata dei tempi a cui soggiacciono le narrazioni seriali e televisive anche in casa HBO (anche se Fukunaga non arriva alle vertigini di sospensione del respiro dell'immagine del Michael Mann di Luck, com'è ovvio), Pizzolatto invece di far indagare i suoi detective su decenni di crimini insabbiati dell'esoterismo in Louisiana fa perdere loro un sacco di tempo, diremmo puntate intere, a intavolare discussioni di letterario struggimento esistenzialista girovagando in auto, e a snocciolare dolenti monologhi di fatalismo millenarista in versione bignami in un set da intervista d'archivio (di entrambe queste situazioni-tipo circolano sul web gustosissimi memes).

Al di là dello sforzo “da grande schermo” di Fukunaga nel suo altissimo lavoro sul paesaggio metafisico, sull'atmosfera malata della provincia, sui personaggi secondari e sulle sequenze d'azione, a conti fatti di True Detective restano soprattutto Matthew McConaughey e Woody Harrelson che guardano in macchina e sproloquiano con immensa classe, in una cornice da ripresa amatoriale dichiarata. E' interessante perché i frammenti videotape della serie davvero sembrano chiudere il cerchio cinema-tv-rete, di fatto assimilabili stilisticamente ad uno qualunque dei migliaia di videoblog in cui gli youtubers commentano i fatti del momento fissando il cerchietto rosso della webcam del pc (non a caso è questo l'aspetto su cui più si focalizza l'ottima parodia imbastita da Seth Rogen per Jimmy Kimmel…). 

Il capovolgimento che True Detective opera a più livelli, e su alcuni di questi bisognerà necessariamente tornare, è sui piani di importanza completamente rovesciati tra messinscena e backstage, dietro le quinte – d'altra parte, le sezioni di intervista a Rust e Marty formalmente somigliano in tutto e per tutto ai “commentaries”, agli extra tra i contenuti di un dvd, in cui il cast con il look dei “giorni d'oggi” racconta le proprie memorie della lavorazione del film. Questa estetica del making of innerva d'altronde anche l'aspetto puramente narrativo della vicenda della serie, e tutto il cortocircuito verità-simulazione-menzogna con cui Pizzolatto si diverte ad ingannare personaggi e spettatori. Un po' come quel cartello che compare quando diamo il via proprio agli extra di un dvd, in cui veniamo rincuorati sul fatto che le opinioni espresse dai singoli intervistati “non rappresentano necessariamente quelle della casa madre”.
Ne viene fuori una stratificazione di formati che finisce per ingolfare magnificamente lo scorrimento seriale, la progressione delle informazioni che sembra invece procedere per grumi, cluster intermittenti interrotti da lunghi b-roll: il linguaggio spurio della cinefilia digitale infiltrato (come Rust tra i motociclisti) nella bella grafia della serie tv dagli orizzonti più ostinatamente “cinematografici” (qualunque cosa voglia dire, di nuovo) dei nostri tempi.

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    2 commenti

    • ma sig sozzo…è una serie tv, suvvia servono davvero questi paroloni

    • però magari mi sbaglio. nel senso che forse non è una serie tv, ma una traccia per un concorso di dottorato in cinema e nuove tecnologie