Still. La storia di Michael J. Fox, di Davis Guggenheim

Una lucidissima riflessione sull’ambiguo rapporto di Fox con la sua immagine. Peccato che, quando Guggenheim vuole riportarlo nel mondo vero, scelga la strada più facile. Su Apple TV+

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La rivelazione, Michael J Fox la lascia cadere forse nello spazio ideale per farlo. Still, il doc di cui è protagonista, tratto dal suo memoir e diretto da Davis Guggenheim, non è solo uno straordinario safe space ma è anche la conferma di quanto quello del regista sia un cinema di profili e di garbate confessioni a cuore aperto, come racconta anche solo il discusso In the Mind of Bill Gates di Netflix. Ma non basta. Il cinema di Guggenheim è anche un cinema di corpi, di volumi. E allora Still. La storia di Michael J. Fox non può che essere soprattutto un film sul corpo del suo protagonista, sebbene, certo, il modo in cui ne legge le linee sia tutto da discutere.

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Quando prova a farlo seguendo un approccio tradizionale, seguendo, ad esempio, Michael J Fox durante una faticosa passeggiata, non mancano in effetti certi passaggi ambigui, che solo grazie alla sobrietà del regista non cadono in un racconto della malattia fine a sé stesso. Ma è prevedibile. Per Guggenheim il corpo è soprattutto un’entità performativa, costantemente in scena, come raccontano non soltanto il carisma di molti soggetti dei suoi documentari ma anche certi passaggi clamorosi di It Might Get Loud, che non a caso si apre con un’improvvsazione di Jack White su una neckbottle.

Ma tra il corpo di Jack White e quello, segnato dalla malattia, di Michael J Fox, c’è un abisso. E allora tanto vale partire dalla fisicità dell’attore, dalla sua storia, per riprendere la riflessione, e, se possibile, chiuderla.

Il punto di partenza è affascinante. Guggenheim usa infatti l’archivio con grande lucidità, come una direttrice attraverso cui strutturare il racconto della vita di Fox. Così ecco che certi exploit di Alex Keaton, il personaggio con cui l’attore esordì, sembrano rispecchiare i (veri) racconti della sua adolescenza scapestrata; ecco che una sequenza in discoteca da Il segreto del mio successo assomma tutti i ricordi sulla fama improvvisa che l’attore, ormai maturo, evoca nel presente; ecco che alcuni dialoghi tra il suo personaggio e quello di Tracy Pollan in Casa Keaton anticipano la costruzione di quella relazione che li lega ancora oggi.

Il film di Guggenheim è un affascinante prodotto concettuale che, tra l’archivio e certe ricostruzioni non meno vertiginose (a tal punto che la sequenza in cui l’attore ricorda il suo primo contatto con il Parkinson, sembra l’incipit di un body horror che Zemeckis non girerà mai), pare soprattutto un autofiction imprescindibile dall’immaginario digitale, per certi versi vicinissima al clamoroso esperimento compiuto da Sokurov in Fairytale.

Still

 

Il risultato pare davvero l’ultimo film possibile per Michael J. Fox, protagonista di un biopic che respira con il ritmo della fiction, ma al contempo centro di una disperata fuga tra le immagini, in un universo alternativo in cui l’attore ha ancora il controllo sul suo corpo ed i suoi fantasmi possono essere tenuti a bada. Guggenheim riconosce la funzione terapeutica delle immagini ma non si tira indietro quando è chiamato a svelare le ambiguità di quei fotogrammi, effimeri simulacri di un passato che non potrà tornare, tasselli di una prigione che Michael J. Fox, forse, non percepisce ancora come tale.

Alla regia, ovvio, l’onere di liberarlo dal giogo, peccato, tuttavia, lo faccia attraverso il processo più facile. Still. La storia di Michael J. Fox normalizza infatti lentamente il contenuto d’archivio e lascia sempre più spazio all’attore oggi, alle sue riflessioni, al suo rapporto con la famiglia, alle sue iniziative umanitarie. Il sistema si acquieta, dunque ma Michael J. Fox viene quasi portato a forza nel mondo vero, senza riflessioni, senza svelare di fronte a lui (forse per comprensibile rispetto), la natura artefatta del suo rapporto con le immagini. Così, tuttavia, la sensazione che qualcuno abbia improvvisamente staccato la spina del ragionamento, che le ambiguità del fotogramma non siano state risolte, che, forse, il lavoro compiuto finora da Still sia stato inutile.

 

Titolo Originale: Still – The Michael J. Fox Story

Regia: Davis Guggenheim
Distribuzione: Appletv+
Durata: 95′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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