Super Bowl 2022 – Il museo della West Coast nell’Halftime Show

L’Halftime Show del LVI Super Bowl è stata una parata della scuderia targata Dr Dre, che ha riunito tutti i suoi astri in un mega-evento che parla anche della scena musicale da lui creata

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Subito dopo che una grafica ha presentato lo sponsor dell’halftime show del 56esimo Super Bowl, ormai un vero e proprio evento parallelo a quello sportivo, la geografia di Compton va a imprimersi nella mano di Dr Dre. La sua rete di strade passa poi a coprire completamente il campo da gioco e si concretizza in un block, un isolato completamente bianco, con alcune macchine decappottabili parcheggiate davanti. La console di Dr Dre fuoriesce dal tetto di uno degli edifici, mentre su quello vicino Snoop Dogg prima diventa un meme e poi attacca con il da-da-da-da-da di The Second Episode. Così ha inizio quello che bandiere, poster e scritte varie nella scenografia chiamano il “Dre Day”.

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D’altronde una serata del genere, che per alcuni segna la storica prima volta di un evento quasi interamente legato alla musica hip hop e rap, non poteva che essere affidato a colui che più di tutti ha segnato la scena musicale degli ultimi trent’anni di West Coast e non solo. Questo halftime show è innanzitutto la celebrazione di Dr Dre non solo come artista, ma soprattutto come imprenditore e scopritore di talenti. Difatti, l’intera lineup è composta da artisti appartenenti alla sua scuderia, da 50 Cent a Mary J. Blige, passando per Kendrick Lamar, Anderson .Paak ed Eminem. Vederli cantare e ballare in uno degli eventi mediaticamente più importanti nel mondo è un sacrosanto (e tardivo) riconoscimento, ma sottolinea quanto siano lontani i tempi delle faide tra gang e di Suge Knight a capo della Death Row Records (da pochi giorni acquistata da Snoop Dogg).

Un’evocazione, questa, che viene da sé vedendo costruire, pezzo per pezzo, il museo della West Coast. Dopo che le note di California Love creano la prima scintilla dell’evento, in una discoteca gremita di ballerini 50 Cent a testa in giù (come nel videoclip) ci riporta nel 2002 con In Da Club. Anche se si soprassiede sul dispiacere che crea vederlo riprendere fiato una volta arresosi con fatica alla gravità, la performance rimane sottotono, stanca. Come lo è quella immediatamente successiva di Mary J. Blige, con una voce ancora da “Soul Queen” che stride con i suoi balletti ingessati che accompagnano Family Affaire e No More Drama, la cui coreografia che abbraccia tutto lo stage.

C’è scritto “Dre Day” sullo scatolone dal quale, invece, sbuca Kendrick Lamar vestito a lutto e al centro delle marcette condite da saluti militari dei ballerini. Eccola la prima vera scossa dell’halftime show. Perché “Kung Fu Kenny” sembra quello più consapevole del gioco mediale in cui si sta muovendo. Non solo per come flirta con la macchina da presa, per come ci balla in una coreografia che sembra costruita più per il pubblico a casa che per quello al So-Fi Stadium di Los Angeles. Ha infatti modificato il testo del suo inno contro la “police brutalityAlright, omettendo il verso “And we hate po-po”, nonché la tanto temuta n-word. Dr Dre ha chiarito che è stato sotto specifica richiesta della NFL durante le prove, ma che “non è stato un problema“. Non è stata censurata, invece, la fine della performance di Eminem con il braccio poggiato sul ginocchio destro, in quella posizione non perché sia scivolato scendendo dal suo cavallo di battaglia Lose Yourself (stavolta accompagnato alla batteria da Anderson .Paak). Slim Shady ha, infatti, ricalcato il gesto di Colin Kaepernick, apparso per la prima volta sui campi NFL e diventato simbolo del Black Lives Matter.

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La lega è stata molto celere nel rilasciare una nota in cui precisa che il gesto non è stato realizzato contro la sua volontà, avendolo visto più volte durante le prove. Un atteggiamento impensabile fino a qualche anno fa, quando Kaepernick non riusciva a trovare una squadra nella quale giocare e la NFL votava praticamente all’unanimità una regola per la quale i giocatori erano obbligati a rimanere in piedi durante l’inno con l’unica alternativa di rimanere negli spogliatoi. Coloro che hanno promosso questi cambiamenti, incassando il plauso dell’allora presidente Donald Trump prima di tornare sui propri passi, siedono sulle stesse sedie e negli stessi uffici di allora. Le note al pianoforte di I Ain’t Mad at Cha di Dr. Dre basteranno a far apparire le loro coscienze un po’ più pulite?

Sul tetto-console salgono alla fine tutti gli astri del cielo stellato di un Dr Dre che saluta il pubblico in una posizione statuaria. Non lo si poteva celebrare meglio di così, mostrandolo per l’ennesima volta come quello che ha giocato al meglio che poteva con le carte che aveva in mano, in cima alla sua bianca e sfavillante Compton, dalla quale usciamo con la pubblicità. In sottofondo c’è però un altro incendio, che se ci si potesse prendere una licenza poetica si potrebbe definire visto da lontano. Un segnale di fumo. C’è chi dice provenga da un uomo in fiamme sull’altro lato della West Coast.

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