The Listener, di Steve Buscemi

A Steve Buscemi basta la serata qualunque di una centralinista dell’helpline per fare cinema d’alto livello e raccontare la disgregazione del tessuto sociale post Covid-19. Giornate degli Autori

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Beth (Tessa Thompson) lavora come volontaria per una helpline. La incontriamo in una notte qualunque, appena prima un mese del suo addio, vedendola prodigarsi con dolcezza e attenzione nell’aiuto verso persone che hanno bisogno di assistenza psicologica o anche soltanto di colloquiare con una voce non ostile. I due anni pandemici hanno infatti esulcerato le tensioni sociali ed individuali già presenti, creando addirittura nuove forme di disagio a chi aveva già un trascorso difficile. È il caso della prima chiamata della serata, un uomo che cerca di fare una buona impressione al telefono ma che tra i vari tartagliamenti (eccezionale il lavoro di Logan Marshall-Green in questo senso, che riesce a rendere equivoche le difficoltà di pronuncia senza scolorire il tono della conversazione) alla fine manifesta tutta la sua ambigua antipatia verso le bandane usate a mo’ di mascherina a causa dei suoi trascorsi criminali e del difficile ricollocamento nella società. L’ascolto attivo di Beth non dirada le nebbie di un percorso d’integrazione ancora lontano dall’affermarsi – il rifiuto di un contatto lavorativo – ma questa prima conversazione esplica la qualità della scrittura di Alessandro Camon alla sceneggiatura e della regia di Steve Buscemi.

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The Listener prende infatti la sua gimmick – la ripresa per l’intera durata della sola protagonista, senza controcampi o flashback, che discute coi suoi interlocutori tramite auricolari bluetooth – non come una sfida narrativa da superare ma come limite al quale diligentemente sottomettersi. Non vi sono quindi le continue evasioni di Tapirulàn o la progressione drammatica di The Guilty: a fare da ascoltatore è chiamato anche lo spettatore. Le vite degli altri, per dirla con le parole di un premio Oscar, sono allora al centro di questa nottata piena di malia, fastidio, turpitudine e perfino sfida intellettuale, come nel caso dell’ultima telefonata dove Beth si confronta sul tema del suicidio in un teso dialogo con una materialista professoressa di sociologia (Rebecca Hall, anche lei formidabile). The Listener accantona i precetti della manualistica storytelling: Buscemi non costruisce archi narrativi che vanno da un punto a ad un punto b ma si situa, come avesse davvero ascoltato una telefonata casuale, nel mezzo. Le onde radio, in questo piccolo ed avvolgente film, sono come uno spioncino da dove guardare senza giudicare la legione di disadattati che siamo sempre stati anche prima del Covid-19.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
2.5 (2 voti)
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