The Unknown Known, di Errol Morris
Rumsfeld annulla definitivamente lo sguardo di Morris, incapace di smarcarsi, di opporsi se non nella misura di un'obiezione incredula. Il politico si appropria del film, al punto da cancellare qualsiasi controcampo, qualsiasi immagine altra che possa contraddire, incrinare, l'intero apparato spettacolare e retorico da lui messo in piedi
Dopo aver attraversato in lungo e in largo le lunghe ombre americane, Errol Morris si ferma dinanzi a una delle anime più oscure della storia degli ultimi quarant'anni, Donald Rumsfeld. Da un lato il pluripremiato documentarista, dall'altro il teorizzatore della guerra preventiva all'Iraq, segretario alla Difesa prima con Ronald Reagan e poi con George W. Bush. Uno scontro combattuto a partire dagli innumerevoli “fiocchi di neve”, i promemoria indirizzati da Rumsfeld ai suoi collaboratori nel corso degli anni (milioni, come afferma lui stesso). E la promessa implicita di scintille, già a partire dal titolo (ispirato a un celebre fiocco di neve "teorico"), di far venire in qualche modo alla luce il lato oscuro di una storia la cui conoscenza è solo presunta. O, ancor più, di far ritrovare lo stratega politico abituato alla manipolazione, il guerrafondaio senza crisi e senza pentimenti, di fronte alla sua contraddizone umana, al proprio mistero o al fantasma della propria responsabilità.
Ma la Verità è che Rumsfeld non si lascia minimamente toccare o intimidire dalle domande, spesso anche incalzanti di Morris. Per lui verità e giustizia si riducono a un punto (interrogativo?), una questione di prospettive facilmente rovesciabili nel gioco retorico dei significati, dei distinguo, dei sillogismi cavillosi. La sua logica e la sua etica consistono nel gioco di parole, nella combinazione continuamente rovesciabile e contraddittoria delle frasi e delle conclusioni, delle premesse faziose e delle soluzioni iperboliche. Al punto che la candida ammissione che non ci siano prove dell'esistenza di armi di distruzione di massa non è certo, secondo un ragionamento glaciale e “stringente”, la prova inconfutabile della loro assenza. Guantanamo e Abu Ghraib paiono scomparire, come in dissoluzione, di fronte al paradosso della definizione assoluta di un relativismo irrisolvibile. E le parole non rispondono più alle cose, cioè ai fatti, se non secondo le infinite possibilità delle intenzioni. Sono come acqua che si adatta all'unica immagine possibile, ufficiale, fatta di "razionalità" e patriottismo, di commozione ad arte quando si ricorda il sacrificio dei caduti e dei feriti e l’orgoglio delle famiglie.
Rumsfeld annulla definitivamente lo sguardo di Morris, incapace di smarcarsi, di opporsi se non nella misura di un'obiezione incredula, di uno stupore disarmato. Il politico si appropria del film, al punto da cancellare qualsiasi controcampo, qualsiasi immagine altra che possa contraddire, incrinare, l'intero apparato spettacolare e retorico da lui messo in piedi. Come ci trovassimo di fronte a un duello Frost/Nixon risolto in unico round, non abbiamo che un'unica inquadratura confusa capace d'inglobare e cancellare qualsiasi distinzioni possibile tra il noto e l'ignoto, luce e buio. Se come intervento critico, The Unknown Known è un fallimento, resta come testimonianza tragica di quest'espropriazione definitiva del cinema. Non è più questione di come si filma il nemico. Perché oltre il nemico, aldilà delle sue parole, della sua volontà, delle suo suo sguardo non esiste il film. Non esiste storia.