"They", di Robert Harmon

Anche se l'opera ultima di Harmon ci fa pensare ad una messinscena "moderna", tutta di cervello, tuttavia riesce a rimanere negli stringenti affreschi di genere classico

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Quello del talentuoso Robert Harmon è cinema dell'alterità. Il Loro del titolo mette subito in scacco la forma di una messinscena che si nasconde sempre un po' più in là del filmabile, del rappresentabile. C'è un mondo intero da sondare insediato dove normalmente una chiusura in nero, un vacillamento chiuderebbero ogni riproduzione. Strano a dirsi ma Harmon non ha paura di filmare proprio quel luogo, dove le Creature dell'inconscio, ma anche del cinema moderno, fanno capolino e suggestionano il nostro immaginario.

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Così, guardando un attimo al suo cinema, ci si accorge di come questo sottovalutato regista rifletta ogni volta su quel tipo di paura/angoscia/panico, indotti dall'improvvisa perdita della Luce, meglio, della perdita dei cari che quella stessa luce riflettevano. E allora capiamo bene che il tutto si riduce/massimalizza nella disgregazione della famiglia. Una perdita, uno straziante vuoto, un infinito crepaccio mai risalito e mai colmato sino alla sua sommità, che risiede poi nella tanto agognata rimozione. Si racconta di perdita (della madre) in Teneramente in tre, si suggerisce in filigrana una perdita (del padre) in Accerchiato, ma anche in Gotti e, in fine, ovviamente e palesemente in questo film.


Accennando al rimosso, dunque, come con Identità di Mangold anche con They si potrebbe scomodare ancora Deleuze e parlare di cinema del cervello (come bene ha fatto il nostro Guglielmo Siniscalchi in questa sede), ma andremmo incontro forse ad un abbaglio non di poco conto. Il cinema di Harmon è infatti sempre in bilico verso un rinnovamento anche solo estetico, ma ancora irrimediabilmente appesantito da una zavorra al cui interno si nascondono i segni e le nostalgiche derive del cinema classico. Come non ravvedere di fatto questa tendenza in un gioiellino "western" come Accerchiato (con un mai così remissivo Jean-Claude Van Damme), o nel più conosciuto The hitcher, per esempio.


Rimangiamoci dunque subito quello che più sopra avevamo suggerito quando dicevamo di cinema moderno (anche se They è il film che più ci si avvicina), poiché anche se l'opera ultima di Harmon ci fa pensare ad una messinscena tutta di cervello, tuttavia riesce a rimanere negli stringenti affreschi di genere classico.


In They, drammaticamente e classicamente, appunto, i demoni si guadagnano una fisicità e la giusta materialità per assurgere ancora a icone fatiscenti di un cinema del passato duro a morire, almeno per Harmon. Se c'è una cortina di separazione tra creature orribili e umani (tra fantasia e realtà), un velo simbiotico e allo stesso tempo scindente, quello si frappone solo tra il bambino (o non più tale) e l'adulto. Esplicativa, a questo proposito, la bellissima scena finale.


Robert Harmon dunque aderisce ancora al suo agro-dolce e romantico cinema, che vede nei bambini, nella loro sofferenza e impossibilità di rimozione, l'insano dispositivo di incubi e mostri inesorcizzabili e immarcescibili (pensiamo anche all'indistruttibile Rutger Hauer di The Hitcher). Esorcismo che la laureanda non a caso in psicologia Julia (Laura Regan), cercherà di portare a termine discutendo la sua tesi. Documento che sappiamo bene contenere le paure di Julia-bambina. Il concetto stesso del film.


Titolo originale: They
Regia: Robert Harmon
Sceneggiatura: Brendan Hood
Fotografia: René Ohashi
Montaggio: Chris Peppe
Musiche: Elia Cmiral
Scenografia: Douglas Higgins
Costumi: Karen L. Matthews
Interpreti: Laura Regan (Julia Lund), Marc Blucas (Paul Loomis), Ethan Embry (Sam Burnside), Dagmara Dominczyk (Terry Alba), John Abrahams (Billy Parks), Alexander Gould (Billy ragazzo), Desiree Zurowski (Mary Parks), Mark Hildreth (Troy), Johnathan Cherry (Darren), Peter LaCroix (David Parks)


Produzione: Tom Engelman per Focus Features, Good Machine, Radar Pictures Inc.
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Durata: 89'
Origine: USA, 2002

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