TORINO 24 – L'oscurità della notte libanese: "Le Dernier Homme", di Ghassan Salhab (Concorso Lungometraggi)

Un film su una realtà "mutante", che oscilla tra un realismo marcato e una lenta ricerca nella dimensione interiore di una società indagata nei suoi aspetti più complessi e fuori dagli schemi

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Nato in Senegal, ma libanese d'adozione, Ghassan Salhab sbarca al Torino Film Festival con il suo terzo lungometraggio, Le Dernier Homme, storia che intreccia la quotidianità di un medico di Beirut, Khalil, alle indagini su un serial killer che uccide le sue vittime mordendole al collo. Sebbene la metafora del vampirismo sia senz'altro chiara, non siamo di fronte a un racconto di genere, ma a un prodotto ricercato nel suo oscillare tra un realismo molto marcato e una rielaborazione in soggettiva della realtà libanese, che non diviene mai comunque visionarietà fine a se stessa o mero onirismo. Le due dimensioni del film si intrecciano: la vita di Khalil è indagata ossequiando i tempi della quotidianità, fatta di visite ai pazienti, immersioni in un mare che ricorda gli ignoti spazi profondi herzoghiani, e una donna che lo cerca al telefono, ma che lui sembra continuamente evitare. Progressivamente, però, l'uomo sembra introiettare un vuoto che trova nelle imprese del serial killer la sua concretazione universale: alcune soluzioni visive interessanti invadono lentamente lo spazio diegetico, riscrivendo la realtà nel segno di un noir che nella notte libanese trova un'efficace rappresentazione. Per Ghassan è un film su una realtà "mutante", nelle cui pieghe si situano mostri la cui furia esplode improvvisa, e in questo senso ha fondatezza il travaglio di Khalil, il cui vagare accentra su di sé l'intera seconda parte del film: è una lenta ricerca nella propria dimensione interiore, per comprendere se il mostro è lui o se valgono i proclami ufficiali di una nazione presidiata dall'esercito, fiera di sventolare il capro espiatorio di turno. Ecco, l'aspetto sociale non è meno intrigante di quello personale, ma nella misura in cui ci mostra una realtà orientale alquanto fuori dagli schemi, una metropoli tentacolare, degna davvero di un registro noir, con locali off, gente infelice, una borghesia che tenta di dominare uno spazio che in realtà è per sua natura imprendibile, come peraltro la storia stessa del Libano ha insegnato nell'ultimo trentennio, attraverso i suoi continui rivolgimenti d'ordine. Un film affascinante, sebbene viziato da una lunghezza eccessiva, che a tratto rischia di capovolgere gli intenti e di rendere il lavoro sull'esteriorizzazione dei sentimenti lievemente autocompiaciuto.

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