#TS+FF2019 – Quattro modi fantascientifici di interpretare la realtà

A Trieste 4 film di nazionalità diverse mostrano la fantascienza come re-interpretazione della realtà: Last Sunrise, I am Ren, Ghost Town Antology, Jesus Shows You the Way to the Highway

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Se l’horror, forse proprio per via della sua natura costitutiva così vicina a Thanatos, viene dato regolarmente per morto ad ogni decennio, la fantascienza oggi sembra avere una prospettiva di vita praticamente infinita. I buoni effetti speciali disponibili anche con budget ridotti permettono con ancor maggiore facilità a questo genere di farsi vettore delle inquietudini del presente attraverso futuri/distopie/ucronie dagli addentellati fortemente immersi nel reale. Proprio il Trieste Science Fiction Festival che da anni fa da prisma per queste rifrazioni cinematografiche ci consente anche in questa edizione di tracciare un veloce (ed incompiuto, fortunatamente) manifesto di queste tendenze. In particolare quattro film, per un felice combinato disposto girati da quattro registi di nazionalità diversa, a noi sono sembrati ciottoli di un sentiero spesso fantasioso ma che ha come meta la nostra società attuale. In Last Sunrise di Wen Ren, il contesto futuristico di una società basata esclusivamente sull’energia solare a cui improvvidamente viene a mancare proprio la stella primaria poteva offrire il fianco narrativo ad un manifesto ecologista. Il regista cinese invece abbandona dopo la prima mezz’ora questa direzione e rivolge il proprio tenero sguardo ai due disadattati protagonisti. Immersi in un’oscurità perenne dove ogni uomo è costretto a derubare il prossimo per sopravvivere alla mancanza d’energia e perfino di aria i due giovani impareranno a soprassedere sulle loro marcate tare caratteriali. Il messaggio di speranza umanista che scaturisce nel finale di Last Sunrise capovolge di segno l’iniziale dramma ambientalista confidando sul fatto che forse saranno i piccoli atti di benevolenza dell’individuo a sconfiggere la cattiveria della massa. Anche in I am Ren, di Piotr Ryczko lo spunto fantascientifico di partenza viene presto piegato in senso realista. Il regista polacco-norvegese si muove infatti con intelligente ambiguità tra i dubbi identitari di Renata, donna che a causa di un evento violento in seno alla propria famiglia, capisce di essere un cyborg. La riflessione su uno dei temi fondativi del cyberpunk trova però una risoluzione tipicamente novecentesca (spoiler, ovverosia freudiana) che si fa beffe di aspettative oramai consolidate. E persino la dedica finale alla propria madre è l’implicita dichiarazione di un umanesimo di ritorno che non teme di ridurre l’automa a feticcio narrativo da modellare per le proprie esigenze affettive.

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Un approccio similare si riscontra anche in Ghost Town Antology di Denis Côté dove questa volta è il soprannaturale ad essere risemantizzato. Il regista canadese infatti porta sullo schermo presenze fantasmatiche per cercare di capire le assenze del cuore. La morte del giovane Simon sconvolge la vita della sperduta comunità di Sainte-Irénée-les-Neiges, sita nella parte del Quebec più inospitale, fino a far credere ai propri familiari e compaesani che i morti possano davvero tornare sulla Terra. Basta volere ciò, fare sì che l’elaborazione del lutto rimanga un vuoto sintagma e lasciarsi guidare dalla glaciale tenacia dell’esigua popolazione di un borgo che conta 215 anime e che la sindaca conosce uno per uno. In Ghost Town Anthology i protagonisti dimostrano come il confine col soprannaturale possa essere in qualunque momento attraversato in una direzione o nell’altra: in fondo gli spettri sono sempre stati immagini di un passato che chiede o non sa essere dimenticato. Anche a livello puramente figurativo, come nel caso de Jesus Shows You the Way to the Highway di Miguel Llansó, che in un modo totalmente anarcoide riscrive la realtà attraverso peculiari codici cinematografici. Il film del regista spagnolo è uno sci-fi afro-futurista contaminato da alcune ossessioni dichiaratamente popolari, come la passione per Bud Spencer e i luoghi comuni culinari italiani (ad un certo punto troviamo anche personaggi che si chiamano Spaghetti e Ravioli!). La messa in scena dichiaratamente camp di situazioni allucinate è comunque una satira, nemmeno troppo velata, al sistema capitalistico globale che nascondendosi dietro l’innocenza dei nuovi mondi virtuali continua a generare forme di rapporto anti-democratiche. Insomma, il ricorso all’invenzione della fantascienza rimane il modo più espressivo per raccontare la realtà di questi tempi privi di fantasia.

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