"Valentin", di Alejandro Agresti

Nel cinema delle proprie origini, la marginalità psicologica "(in)volontaria" del bambino-Agresti è la spinta per oltrepassare i confini ristretti della vita familiare e della storia di un Paese già fonte ispiratrice in passato.

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Ancora di più, in quest'ultimo film, il polso dello scrittore si sente e si percepisce. La macchina da presa sorprende per l'instabilità nevrotica, scrutando da posizioni anomale e schiacciate gli echi remoti della parola, le risonanze profonde delle sue origini. Da Secret Wedding (uno dei primi film sulla dittatura militare argentina) a Love is a fat Woman, da L'ultimo cinema del mondo a Valentin, la vena parodistica non si è mai esaurita, insieme ad una malinconica meditazione sulla sopravvenuta esigenza di scavare per trovare il senso della propria identità. Estensione al passato per ricomporre le qualità sparse del proprio essere. Nel cinema delle proprie origini, la marginalità psicologica "(in)volontaria" del bambino-Agresti è la spinta per oltrepassare i confini ristretti della vita familiare e della storia di un Paese già fonte ispiratrice nei precedenti lavori. L'apparato letterario si poggia su quello filmico come una scatola dei ricordi collocata fra racconto frammentato e l'ansia del discorso. Gli eventi non si raccontano da sé; c'è Valentin (Rodrigo Noya) a selezionarli, a indirizzarli, a subirli. Vive con la nonna, il padre, donnaiolo e impenitente, è sempre fuori, la madre è andata via. Valentin è la coscienza unificante che ingloba tutti i personaggi e comprime il fluire dallo scritturale allo scenico. Il piccolo (autobiografico) traccia le coordinate di un nostalgico sguardo che rifonde in una cifra consolidata sud americana, comicità e disperazione, elegia e satira, denuncia e paradosso. Si va oltre la semplice proiezione, oltre la compiaciuta autoesibizione di un autore che non sa parlare d'altro che di sé. L'autobiografia è l'effettiva possibilità di cogliere la genuinità e la complessità del reale: l'espressione d'idee e di sentimenti autentici perchè soggettivamente sentiti, la riduzione della socialità d'ogni singolo avvenimento al suo riflesso individuale rappresentato. Un atteggiamento antidogmatico nei confronti della realtà, in quanto riflesso di un atteggiamento interiore. Non sempre però l'esperienza particolare (divertente, creativa, sensibilmente toccante, a volte) accede ad un significato che trascende il semplice dato biografico. Questo cinema è sbilanciato più verso il passato e le scoperte della memoria, che verso il presente e i progressi della conoscenza, rientrando nel genere ampiamente codificato dell'autobiografia classica. Poema sulla solitudine di un bambino che sconta non nell'angoscia di Doinel l'indifferenza e l'ingiustizia di un mondo di adulti, incapaci di comprenderlo e aiutarlo, ma nella ricerca di una strada (dall'astronauta allo scrittore) che attraversi le barriere dello spazio e dell'immaginazione. 

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Titolo originale: Valentin


Regia: Alejandro Agresti


Sceneggiatura: Alejandro Agresti


Fotografia: Jose Luis Cajaraville


Montaggio: Alejandro Brodersohn


Musiche: Paul M. Van Brugge, Luis Salinas


Scenografia: Floris Vos


Costumi: Marisa Urruti


Interpreti: Rodrigo Noya (Valentin), Carmen Maura (Nonna), Alejandro Agresti (Padre), Julieta Cardinali (Leticia), Mex Urtizberea (Rufo), Jean Pierre Noher (Zio Chiche), Carlos Roffe (Dottore), Lorenzo Quinteros (Uomo nel bar)


Produzione: First Floor Features, Patagonik Film Group, RWA


Durata: 86'


Origine: Argentina/Olanda, 2002


        


   


 


 

 

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