VENEZIA 60 – "Antenna", di Kazuyoshi Kumakiri (Controcorrente)

Dilatando e distorcendo la narrazione, Kumakiri arriva a fare del cinema "puro" (fuori/dentro spazio, tempo, testa), che scivola su se'stesso e attraversa il corpo sgraziato/straziato di Ryo Kase/Yuichiro (e il nostro).

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Nato nel 1974, Kazuyoshi Kumakiri stupì il mondo della critica con il suo primo lungometraggio e saggio di laurea, Kichiku, nel '98, selezionato alla Berlinale e vincitore del Grand Prix nella Taormina ancora ghezziana. Lo stesso è accaduto con Hole in the Sky nel 2001, girato con la borsa di studio del Pia Film Festival,  presente sia a Berlino che a Rotterdam, dove ha vinto una menzione speciale dell'Associazione Internazionale della Critica. Antenna, in concorso nella sezione Controcorrente, è il suo terzo film, girato ancora in digitale, primo ad essere tratto da un'opera originale, l'omonimo romanzo della scrittrice Taghuchi Randy, best seller in Giappone; il titolo indica una sorta di sesto senso (che comprende tutti gli altri cinque), la capacità di percepire la verità che molto spesso la realtà sensoriale nasconde o muta, addirittura annulla se l'approccio è soltanto razionalistico. L'antenna di cui (forse) tutti siamo dotati è la scoperta che compie Yuichiro, studente di filosofia impegnato in una ricerca sulla corporalità e la capacità fisica di liberarsi dal dolore, quando abbandona la scuola e inizia a sperimentare sul proprio corpo la "materia", praticando il sadomasochismo. Al dolore fisico che il giovane si procura, affidandosi anche alle cure della bellissima Naomi, sorta di "regina del sadomaso" dello studio "Fallen Angel", rovesciamento e completamento della figura monca, prettamente mentale, dello psicologo, Yuichiro è ossessionato dalla scomparsa della sorella Marie, avvenuta molti anni prima, di cui si sente responsabile pur non ricordando nulla di quella notte che ha cambiato la vita dei suoi familiari. In questo quadro, composto da quadri clinici prima che da individui, con la madre, incapace di elaborare il suo dolore, che si affida a pratiche mistico-religioise e "vede" la figlia reincarnarsi nell'altro figlio, Yuya, spesso addobbato con i vestiti della scomparsa, il primo a scoprire le "vibrazioni dell'antenna" grazie all'innocenza, Yuichiro più che ricercare con la logica (come gli consiglia un esperto dei "Chi l'ha visto?") si lascia andare alla deriva. Con l'aiuto di Naomi, il giovane attraversa le sfere del proprio corpo, lo inonda di sangue e sperma superando la dimensione spazio-temporale e arrivando a ricomporre un puzzle che lega i personaggi e gli avvenimenti. Yuichiro scopre l'incesto che lo zio suicida praticava sulla sorella, arrivato a percepire "l'antenna" si abbandona alla "nuova dimensione" in cui sogno, realtà, vita e morte sono la stessa cosa; in questa si libera della sua ossessione, prova a disfarsi del suo stesso essere ed è proprio quello il gesto che arriva a toccare anche le "antenne" della madre e del fratello.

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Dilatando e distorcendo la narrazione, Kumakiri arriva a fare del cinema "puro" (fuori/dentro spazio, tempo, testa), che scivola su stesso e attraversa il corpo sgraziato/straziato di Ryo Kase/Yuichiro (e il nostro), lo stesso di Bright Future di Kyoshi Kurosawa, presentato all'ultimo festival di Cannes, altro "road movie dello spirito". Ma Antenna passa dal corpo allo spirito, dalla mente al ventre (…e al mentre…) attraverso le immagini e la deriva immaginaria, sposandosi con la nostra (a)teoria critica, che proprio nel momento in cui si confronta il suo oggetto del desiderio decade. Perché quando c'è l'antenna noi (non) ci siamo.

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