VENEZIA 62: Storia segreta del cinema asiatico

Ricchissima nell'offerta, esaltante nella qualità dei titoli e nella loro diversità, la retrospettiva dedicata alla cinematografia cinese e a quella giapponese ha peccato unicamente di eccesso, costringendo lo spettatore a ritagliarsi percorsi arditi, senza afferrare la vera forma dell'insieme.

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Un'occasione riuscita, anzi no, la retrospettiva veneziana dedicata alla "storia segreta del cinema asiatico". Titolo certamente "importante", che di primo acchito non si capisce bene dove voglia andare a parare, considerando che nel lotto compaiono autori tutt'altro che "segreti" o "dimenticati", come King Hu, Kinji Fukasaku, Suzuki Seijun, Kenji Mizoguchi e via citando. Un problema di forma, certo, lo stesso che ci spinge a chiederci perché stendere un programma così vasto (i titoli erano ben 52) ricomprendendo sotto l'ombrello del "cinema asiatico" soltanto pellicole giapponesi e cinesi. Non sarebbe stato forse meglio dividere la proposta in più anni, ogni volta soffermandosi su una particolare cinematografia? Così, considerando che, per l'occasione, il direttore Marco Muller ha anche dato alle stampe un bel libro sulla storia del cinema Cinese ("Ombre elettriche – Cento anni di cinema cinese 1905-2005)", questa doveva essere la traccia dominante, e si poteva rimandare il Giappone all'edizione 2006. Ne avrebbe guadagnato la retrospettiva stessa, che non sarebbe stata costretta a suddividersi fra spazi tra loro molto lontani (la Sala Volpi, la Sala Astra e la Sala Pasinetti); e ne avremmo guadagnato noi fruitori, che non avremmo dovuto affrontare la dura legge delle "rinunce" (ma quando da un lato hai Fukasaku e dall'altro Herzog come fai a scegliere?) e avremmo potuto alla fine vantare una fruizione più completa del pacchetto.

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Ciò che invece ci resta sono schegge di cinema. Certamente impagabili e sublimi, ma senza che ci sia stato permesso comprendere la forma dell'offerta. E senza che perciò ci sia possibile stilare un percorso preciso intorno a queste cinematografie, la cui sostanza rimane dunque inafferrabile. Per questo non possiamo che riferire del modo scomposto con il quale lampi di splendido cinema ci hanno investito nel buio della sala: dove gli opposti si sono amalgamati e senza soluzione di continuità si è potuti passare dall'epica di King Hu (Zhonglie tu/Ritratto di patrioti e martiri, 1975) all'intimismo di capolavori ritrovati come Xiaocheng zhi chun/Primavera in una piccola città (1947) di Fei Mu. Una cinema, questo cinese, che riesce a esprimere nello stesso spazio offerto dallo schermo un grande dinamismo attraverso combattimenti pirotecnici e un altrettanto virulento senso della rinuncia, del sentimento negato che si estrinseca in un dolente e impossibile triangolo amoroso sullo sfondo di una nazione devastata dalla guerra.


Due pellicole seminali, capaci di aprire e opprimere al contempo il nostro cuore, il che è certamente sinonimo di una padronanza sicura del mezzo. E lo stesso può dirsi del cinema giapponese: non nasconderemo che le pellicole del sensei Fukasaku siano state fra le cose più belle e coinvolgenti che abbiamo visto alla Mostra. Padrone come pochi del formato Cinemascope, Fukasaku invade l'inquadratura riempiendola di elementi e corpi in perenne e impazzito movimento. Per questo le sue storie promanano un'energia pura, una febbricitante tensione che percorre cose e persone e opera sul set come luogo di distruzione, manipolazione, mobilità. La stessa mdp trasmette questo nervosismo impiegando i punti di vista più estremi, muovendosi liberamente, portata a mano da cameramen funamboli, ma mantenendo sempre una padronanza della scena invidiabile. Il tutto produce film mobilissimi, ma non confusi, animati poi da un pessimismo che non lascia mai superstiti sul campo. D'uopo citare almeno Okami to buta to ningen/Lupi, maiali e uomini (1964), spietato saggio dell'impossibile conciliazione fra il mondo adolescenziale e quello adulto; e lo yakuza-movie Kenkei tai sohiki boryoku/La polizia contro l'organizzazione violenta (1975), forse anche più sorprendente del riconosciuto capolavoro di Fukasaku, Jingi naki tatakai/Lotta senza codice d'onore (1973).


Fra gli altri tesori offerti dalla ricca retrospettiva meritano almeno una menzione i due capitoli della lunga saga dedicata a Zatoichi. Finalmente ci è stata offerta l'occasione di riscoprire il "vero" samurai-massaggiatore cieco, nell'interpretazione di Shintaro Katsu. E i due film proposti (Zato Ichi kessho tabi/Zato Ichi in viaggio tra sangue e risate e Zato Ichi monogatari/La storia di Zato Ichi) racchiudono perfettamente la schizofrenia dell'offerta veneziana, essendo l'uno un divertente pastiche che contrappunta le azioni del protagonista con una vena di folle ironia e l'altro invece un film dolente sull'onore e il dovere. Infatti nel primo film (del 1964) Zatoichi è alle prese con un bebé da salvare dopo la morte della madre; nel secondo (e precedente, essendo del 1962), invece, lo vediamo contrapposto a un antagonista cui è legato da un senso del rispetto e dell'onore che conduce a una sfida finale dall'esito inevitabilmente drammatico.


Ora la palla passa naturalmente al mercato del dvd, dove sono stati annunciati alcuni dei titoli che hanno composto l'omaggio veneziano: occasione nell'occasione, che speriamo sia prodiga di offerte e ci permetta così di ricostruire nell'intimità casalinga il complesso diagramma di due cinematografie che Venezia ci ha permesso di saggiare soltanto in superficie.

La_stagione_2005/2006

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    VENEZIA 62- Storia Segreta del Cinema Asiatico

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    Dalu (La strada maestra, 1934) di Sun Yu

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    Taoli jie  (Le sventure del pesco e del pruno, 1934) di Ying Yunwei


    Xin nüxing  (Donne nuove, 1935) di Cai Chusheng


    Malu tianshi (Angeli della strada, 1937) di Yuan Muzhi


    Shizi jietou (Crocevia, 1937) di Shen Xiling


    Yeban gesheng (Canto a mezzanotte – parte I, 1937) di Maxu Weibang


    Tieshan gongzhu (La principessa dal ventaglio di ferro, 1941) di Wan Laiming e Wan Guchan


    Xiaocheng zhi chun (Primavera in una piccola città, 1947) di Fei Mu


    Wuya yu maque  (Corvi e passeri, 1949) di Zheng Junli


    San Mao liulang ji (I vagabondaggi di San Mao, 1949/50) di Zhao Ming e Yan Gong


    Wo zhe yibeizi (La mia vita, 1949/50) di Shi Hui


    Wutai jiemei (Sorelle del palcoscenico, 1965) di Xie Jin


    Zhonglie tu (Ritratto di patrioti e martiri, 1975) di King Hu


    Yige he bage (Uno e otto, 1983) di Zhang Junzhao


    Mama (Mamma, 1990) di Zhang Yuan


     

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