VENEZIA 68 – "Non so se i sogni mi abbiano mai reso una persona migliore". Incontro con Todd Solondz, Selma Blair e Jordan Gelber

DARK HORSE - Ted Hope, Selma Blair e Todd Solondz
Todd Solondz
presenta il suo Dark Horse, in concorso a Venezia 68, accompagnato dagli interpreti, Selma Blair e Jordan Gelber, e dallo storico produttore Ted Hope

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DARK HORSE - Ted Hope, Selma Blair e Todd SolondzC'è anche Ted Hope,  storico produttore di Solondz (Happiness e Storytelling) e John Waters (A Dirty Shame) all'incontro con la stampa per la presentazione di Dark Horse, nuovo film di Todd Solondz interpretato da Jordan Gelber e Selma Blair, accanto a Donna Murphy, Christopher Walken, Mia Farrow, Justin Bartha e Aasif Mandvi (oggi assenti).

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Hai descritto Dark Horse come un film dolce.

TODD SOLONDZ: Per quanto si possa considerare una commedia, è un film che non mi fa ridere quando lo guardo, è pieno di dolore e malinconia. Il personaggio di Marie, con la sua affezione verso lo sfortunato protagonista, esprime quei sentimenti di amore e tenerezza che danno un significato alla vita e portano a una forma di redenzione. Io stesso provo tenerezza verso il protagonista e la sua difficile situazione.

JORDAN GELBER: Secondo me, si tratta di un film diverso rispetto agli ultimi due, perchè è concentrato sulla storia di un unico personaggio. Di solito quelle di Todd sono storie corali.

"Dark horse" è un'espressione tipica americana. Come si può definire esattamente?

TODD SOLONDZ:  In un cerso senso è come in un piano sequenza. Parliamo di qualcuno che potrebbe essere proiettato verso il successo, ma che per quanti sforzi faccia non lo raggiunge. Mi colpisce la duplicità della figura del padre di Abe (Christopher Walken) da un lato considera suo figlio un fallito, dall'altro scopriamo con commozione che una volta aveva scommesso molto su di lui.


I tuoi personaggi incarnano i principali miti americani, ma poi li demoliscono. C'è una componente politica nel tuo lavoro?


TODD SOLONDZ: Non fornisco mai una "ricetta" per l'interpretazione dei miei film, ma penso che ci sia sempre e in ogni caso una dimensione politica, anche quando è inconsapevole. Qui parliamo di un collezionista, e la sua collezione lo possiede: un aspetto fortemente connotativo dell'infanzia e dell'adolescenza, e questo sì, è sintomatico di una società consumistica. Penso che incoraggiare questa infantilizzazione sia un modo per distrarci da altre forze che ci governano, è un altro modo per tenerci sotto controllo. Però lascerei questi argomenti a chi ha le competenze per parlarne (sorride).

Il tuo film si puà inquadrare nel contesto delle commedie americane che parlano proprio di questa infantilizzazione della società americana? Penso a 40 anni vergine, per esempio.

TODD SOLONDZ: Non credo che questo fenomeno dell'eterno adolescente sia esclusivamente americano, esiste anche in Europa o in Giappone; vedi gli otaku. Si collezionano giocattoli, libri, fumetti, molti dei quali non letti, accuratamente conservati nelle confezioni originali. In un certo senso in questo modo il protagonista di Dark Horse cerca di aggrapparsi alla sua giovinezza e ai suoi sogni irrecuperabili. Certo, nel suo caso è una strategia patologica, ma è qualcosa che ci riguarda tutti, e riguarda tutto il mondo occidentale.

JORDAN GELBER:
Del personaggio di Abe mi intereessava il conflitto tra l'avere un fisico da adulto e le esigenze di qualcuno che non è mai cresciuto.

TED HOPE:
In termini strettamente cinematografici, possiamo dire che si tratta di un genere ipersfruttato. Ho sentito qualcuno stupirsi del fatto che in questo film possa essere trattato in modo insieme divertente e triste. Perchè no?


Che ruolo hanno i sogni nel film?

 


TODD SOLONDZ: Con i sogni abbiamo cercato di avere accesso alla vita interiore del protagonista, raccontare il suo inconscio, qualcosa che non riesce a esprimere nella vita reale. Ma, devo dire, non so se i sogni mi abbiano mai reso una persona migliore… il momento in cui il film cambia, l'apice, il punto di svolta, anche se continuiamo a utilizzare il punto di vista di Abe, è la sequenza di ballo tra lui e Marie. In quel momento scopriamo che stiamo assistendo alla fantasia di qualcun altro.

TED HOPE: In questo senso, anche l'intero film rappresenta uno sviluppo in corso rispetto ai film precedenti di Todd.

 

Selma Blair e Todd Solondz - DARK HORSE press conferenceLe attrici nei film di Solondz hanno sempre un'espressione molto particolare, sembrano quasi entrare in uno stato mentale specifico


TODD SOLONDZ:
Non me ne rendo conto, semplicemente inizio a girare con una certa atmosfera, poi entrano in gioco per esempio due personaggi sulla mezza età, i genitori di Abe [Walken e Farrow]: la comicità fa eco alla dimensione tragica di quella famiglia, mi piace come Chris cammina, il modo in cui siede con una birra a guardare la tv, il piacere che ne trae: ecco, io cerco di catturare quel momento di disconnessione.

SELMA BLAIR: Non c'è nulla di specificatamente premeditato, creato per essere ironico. In realtà  tutti, quando non si sentono osservati, sono esattamente così, a volte assenti o annoiati, e assumono delle espressioni molto diverse da quelle che a volte ti si richiede nei film. Lavorando con Todd si penetra in profondità nella storia e si sente tutto in modo molto realistico: nei suoi personaggi c'è qualcosa di vero che ti rinfresca.

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