VENEZIA 70 – "Il salario della paura – Sorcerer", di William Friedkin (Venezia Classici)
La Mostra rende omaggio a William Friedkin con Il salario della paura, uno dei suoi titoli meno conosciuti e considerati dal grande pubblico: un film che oltrepassa i limiti imposti dagli elementi primordiali (l’acqua, la terra) e diventa una sfida nei confronti della natura e del destino. Tra Herzog ed Apocalypse Now, la storia di un'impresa senza gloria. Un cinema che sfida la natura, e ne esce a testa alta

Un film dove il fango e la pioggia impregnano le immagini fino all’inverosimile e, con loro, i suoi protagonisti, attraverso una ferocia e un’ immedesimazione fisica senza precedenti. Sembra quasi vedere l’ombra di un Herzog fare capolino tra le inquadrature: impossibile infatti non pensare ai personaggi del regista tedesco e alle loro imprese ai limiti dell’umano, come un Aguirre o un Fitcarraldo. Il film di Friedkin è la storia di un’impresa senza gloria, in cui non esiste catarsi o una qualsivoglia forma di liberazione; un viaggio nel cuore della giungla e del mondo (Apocalypse Now?) in cui non esiste altro che l’uomo a contatto con ciò che lo circonda. La macchina da presa affonda nella terra, si attacca ai volti e agli occhi degli indios e poi vola in alto, come gli avvoltoi perennemente in agguato sulle teste dei quattro avventurieri. Nessuno ha mai filmato così: basti pensare alla lunga, straordinaria sequenza dell’attraversamento del ponte, per rendersi conto che il cinema di questo immenso regista è esso stesso una sfida, un diventare un tutt’uno con la furia degli elementi, un atto di resistenza intrinsecamente umano. Un viaggio che raggiunge il capolinea in una landa rocciosa spettrale e meravigliosamente metafisica, a suggellare la conclusione di un’avventura che non recherà nessuna ricchezza o benessere, in un mondo dove gli interessi dei potenti (che poi sono il vero motore narrativo della storia) sono troppo grandi per poterli sopraffare, e in cui l’ennesima digressione del racconto si trasforma in beffa del destino. Il salario della paura è il cinema che sfida la natura, e ne esce a testa alta. Volti scavati e incredibili, vissuti fino al midollo, da cinema di altri tempi e impensabili nel mondo in CGI di oggi (Roy Scheider su tutti, ma anche Bruno Cremer e un grandissimo Francisco Rabal), musiche travolgenti dei Tangerine Dream e fotografia abissale di Dick Bush e John M. Stephens: tutti elementi indispensabili di un film enorme e da riscoprire.