Venezia altrove, di Elia Romanelli

Cinque storie legate da un unico filo conduttore: Venezia. Una riflessione sull’immaginario che allarga all’infinito i confini di una città diventata immortale. In concorso al Bergamo Film Meeting

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Venezia altrove parte da una domanda all’apparenza semplice, ma che ha da sempre stimolato importanti riflessioni: che cos’è una città? Un insieme di edifici persone? Un punto su una mappa? Un’immagine? Un ricordo? Il veneziano Elia Romanelli muovendo i passi da Le città invisibili di Italo Calvino, cerca di rispondere a queste domande con il suo film, in concorso al Bergamo Film Meeting.

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È quasi impossibile girare per il mondo senza imbattersi prima o dopo in un’immagine della città di Venezia. Vuoi che sia Piazza San Marco, i suoi tipici ponti, i canali o anche semplicemente una gondola, la Serenissima è entrata nell’immaginario collettivo. Il rischio di questa proliferazione di rappresentazioni è «lo svuotamento di senso di chi è premiato a simbolo di un territorio» e va ad affiancarsi alla progressiva scomparsa della realtà urbana della città, in rapido spopolamento e destinata a vivere unicamente di turismo. Venezia altrove si pone allora l’obiettivo di andare oltre a questo immaginario stereotipato; per fare ciò va alla ricerca di luoghi che, pur appoggiandosi inizialmente all’immaginario della città, sono autonome e indipendenti realtà vissute.

Una donna in fuga dalla guerra in Bosnia che lavora nel salone di acconciature “Venezia” nella periferia di Zagabria; due donne tedesche che hanno esportato il carnevale veneziano in un paesino della Germania, una coppia di sposini che sogna Venezia e la trova nella rappresentazione posticcia di un supermarket ad Istanbul; l’unico abitante di Neu Venedig, piccola zona fluviale di Berlino Est; un pastore e un macellaio che vivono a Venetia, nel cuore della Transilvania. Cinque storie che hanno come unico filo conduttore un riferimento alla città, a volte esplicito, a volte unicamente nella toponomastica dei luoghi.

Una delle caratteristiche più interessanti di Venezia altrove è che non tutti i protagonisti sognano di andare a Venezia. Il film lavora per sfatare questo mito romantico, andando a celebrare la fiera autonomia locale degli abitanti. Tassillo, l’abitante di Neu Venedig è fiero di percorrere i canali di Berlino con la sua barchetta, per niente simile ad una gondola, gli abitanti di Venetia sono orgogliosi delle loro radici rumene e si raccontano con un filo di commozione alla camera. Nonostante la lontananza geografica e le difficoltà linguistiche, Romanelli riesce a tratteggiare i confini di una città espansa, virtualmente illimitata, in cui tutti sono “concittadini”; che la conoscano per un’idea semplicemente evocata, o che non abbiano idea di come sia fatta, tutti condividono delle esperienze comunitaria legate a “Venezia”.

La forza del documentario deriva anche dalla scelta delle immagini e dal montaggio di Lizi Gelber, che riesce a creare suggestioni romantiche, capace tanto di sottolineare la distanza quasi ossimorica tra l’idea che ci siamo fatti di Venezia e le località sperdute dell’Europa, quanto di ricostruire panorami veneziani in questi luoghi.

Venezia altrove sembra suggerire l’immortalità di una città simbolo come Venezia, in cui la «scomparsa della realtà urbana viva», di cui parla Romanelli, sembra essersi spostata in nuove coordinate geografiche.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.4
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Il voto dei lettori
3.1 (10 voti)
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