#Venezia74 – The Leisure Seeker, di Paolo Virzì

Primo film hollywoodiano del cineasta in una delle sue opere che appaiono meno personali, che ha quasi paura di perdersi negli spazi. Ottimi comunque Donald Sutherland ed Helen Mirren. In concorso

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Nelle zone del cinema on the road per il primo film americano di Paolo Virzì. Che da una parte crea anche una curiosa coincidenza con This Must Be the Place di Paolo Sorrentino. Dall’altra segna quasi un punto di continuità con La pazza gioia. La strada, la libertà, la morte. Attraverso una geografia paesaggistica (la Route 1) che ripercorre anche un immaginario attraversato dalla New Hollywood. La fuga dei due protagonisti come quella di Natalie/Shirley Knight in Non torno a casa stasera di Coppola. Dove il passato viene rimosso nel momento stesso in cui comincia il viaggio e il futuro sembra un enorme buco nero.

Una coppia di ottantenni, John (Donald Sutherland) ed Ella (Helen Mirren), per sfuggire alla cure mediche che li separerebbero per sempre, decidono di prendere un loro vecchio camper soprannominato appunto ‘The Leisure Seeker’ con cui andavano in vacanza negli anni ’70, e si mettono in viaggio dal Massachusetts verso Key West. I figli si mettono in allarme e cercano di farli tornare, ma senza successo. Lui soffre di vuoti di memoria. Lei è acciaccata fisicamente ma ancora lucidissima. Per loro è un’occasione quasi unica per poter stare insieme come per l’ultima volta.

the leisure seeker donald sutherland

Tratto dal romanzo omonimo di Michael Zadoorian (tradotto in italiano col titolo In viaggio contromano), The Leisure Seeker segue un percorso inverso rispetto a grandi classici sulla vecchiaia come Cupo tramonto di McCarey o Viaggio a Tokyo di Ozu. Non alla ricerca della famiglia ma in fuga dalla famiglia. Come se il viaggio oggi servisse quasi a doppiare quello fatto nella loro giovinezza, quando John ed Ella potevano essere due giovani protagonisti di un road-movie negli anni ’60. La ricerca del mito però stavolta sembra talvolta ingolfarsi nelle citazioni letterarie (Hemingway prima di tutto, con la visita alla casa, ma anche Melville) e soprattutto stona con l’inserto quasi documentaristico della campagna elettorale di Donald Trump. Virzì conferma ancora di ottenere il meglio dagli attori (Helen Mirren ancora più di Donald Sutherland), tocca anche delle corde private ma decisamente con minore intensità di La prima cosa bella e Tutti i santi giorni.

the leisure seeker donald sutherland helen mirrenLa sceneggiatura (il film è stato scritto, oltre che dallo stesso regista, anche da Francesco Piccolo, Francesca Archibugi e Stephen Amidon) sembra essere troppo densa in un film che forse doveva essere lasciato più libero. E ciò si vede nell’impostazione quasi teatrale, nell’uso della parola, dello svelamento di un segreto del passato che riguardava la coppia. In più, mentre John ed Ella giganteggiano, il paesaggio e i personaggi secondari (dai figli alla vicina) sembrano come passare sullo sfondo, non creando quella simbiosi personaggi/ambiente spesso al centro del suo cinema. Eppure dentro c’è anche la spinta a filmare proprio ‘il tempo che resta’. E che si materializza nei momenti migliori del film, con John ed Ella che riguardano il loro passato con le diapositive che proiettano la luce addosso a loro, in una delle magie del lavoro di Luca Bigazzi con l’intensità emozionale di Garry Marshall di Appuntamento con l’amore. Ma sono frammenti di un film dove non si respira in pieno quell’aria di libertà e in cui lo sguardo di Virzì appare insolitamente trattenuto, quasi timido rispetto anche alla voracità di La pazza gioia. E guardando Donald Sutherland ed Ella ritorna in mente anche il personaggio di Alan Arkin in Little Miss Sunshine. Quasi un fantasma, un folle confronto, un modello di un cinema indipendente che qui si scontra con un film forse troppo dipendente (dal romanzo, dalla scrittura e anche dal paesaggio). Un cinema che, rispetto al passato, ha quasi paura di perdersi in uno spazio nuovo. Ed è questo uno dei maggiori elementi di estraneità in quella che appare, al di là dei giudizi, come una delle sue opere meno personali.

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