#Venezia78 – Il Buco: l’impresa possibile di Michelangelo Frammartino

Viaggio al centro della terra con Il Buco: il cinema di Frammartino in concorso a #Venezia78 si cala in profondità per riassumere l’essenza poetica di un’impresa fuori dal comune

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Michelangelo Frammartino si è imposto all’attenzione internazionale con il suo secondo lungometraggio Le quattro volte, presentato nel 2010 alla Quinzaine des realisateurs del Festival di Cannes.

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Il regista calabrese è da sempre alle prese con la contemplazione della natura e del paesaggio, in accordo con il cosiddetto cinema “videosinfonico”, un movimento cinematografico concepito da Franco Piavoli negli anni ’80. Un cinema fatto soprattutto di immagini e di suoni dove i dialoghi sono limitati a poche parole.
Per il suo nuovo film Il Buco, che verrà presentato in Concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2021, l’ambizione è altissima in quanto si cerca di mettere al centro del racconto un gruppo di dodici veri speleologi trasformandoli in attori all’interno di un contesto altamente naturale. Ambizione portata avanti in punta di piedi, per cogliere l’essenza di una impresa che fu storica.

Il nuovo film di Michelangelo Frammartino, racconta infatti la storia ambientata nell’Agosto del 1961, di un gruppo di giovani speleologi in visita presso l’altopiano calabrese del Pollino e del suo incontaminato entroterra. Quando gli esploratori si immergono nel sottosuolo di un Meridione che tutti stanno abbandonando, scoprono una delle grotte più profonde del mondo, l’Abisso del Bifurto.

Una scena del film Il buco di Michelangelo Frammartino

Il film nasce dall’incontro tra Frammartino ed un vecchio speleologo piemontese che aveva fatto parte della squadra che aveva esplorato per la prima volta l’Abisso, allora la terza grotta più profonda al mondo.

Dice il regista “Mi colpì che un giovane gruppo di speleologi piemontesi di belle speranze, nel boom economico, prendesse un treno verso il sud e si infilasse sottoterra.

Ed ecco come nasce questa controstoria d’epoca diretta da un regista da sempre capace di realizzare con le sue opere degli spaccati etnoantropologici, con una componente evocativa legata all’ambiente.

Una scena del film Il buco di Michelangelo Frammartino

Le difficoltà di produzione sono state fisiche e logistiche. Nella grotta verticale si scende in corda e si risale a forza di braccia, con in spalla una Sony Venice 6K da 5Kg e svariate attrezzature professionali. Frammartino si è affidato per questa mission all’esperienza internazionale del direttore della fotografia Renato Berta, che annovera nel suo passato prestigiose collaborazioni nel cinema francese e italiano e a quella del cineoperatore Luca Massa, esperto di riprese in ambienti complessi, speleologo e a sua volta direttore della fotografia del film documentario italo/francese Naica – Viaggio nella grotta dei cristalli del 2009, interamente girato nella profondità di una grotta verticale.

Grazie all’esperienza di questa troupe verremo guidati in un viaggio perenne verso il basso andando sempre di più incontro all’oscuro. Due ore di calata in progressione per raggiungere la parte più profonda della grotta e per mostrarci con delle vere e proprie pennellate di luce ciò che la terra nasconde e quel che regna al suo interno. L’inutilizzo di luci artificiali è stato pensato dal regista e da Berta per far rivivere allo spettatore, in maniera più fedele possibile, l’impresa del gruppo di speleologi piemontesi.

Luca Massa riguardo all’esperienza col regista dice “La grotta è un ambiente severo e l’idea di Michelangelo era quella di scoprirla come hanno fatto gli speleologi del tempo. Abbiamo trascorso circa 27 ore nella parte più profonda della grotta mandando il segnale video all’esterno con un cavo di fibra. E’ stata un esperienza faticosa ma altrettanto gratificante.

Una foto dal set che ritrae il fonico Paolo Benvenuti e il cineoperatore Luca Massa

Lo sforzo del regista però non è stato soltanto fisico e di potenza, ma è anche quello del racconto, per descrivere il vicino e il lontanissimo e lo scontro tra due culture all’epoca molto distanti: il Nord e il Sud dell’Italia.

Il Buco, a detta del direttore del Festival del Cinema di Venezia “ha la bellezza del diamante puro”, perchè oltre a narrare un’ impresa speleologica immensa cerca, come d’altronde tutti i film di Frammartino, di creare un’intima adesione degli spettatori con i ritmi della natura.

Michelangelo Frammartino per il momento appartiene alla categoria di cineasti che realizzano infinite variazioni di un’unica opera, ma chissà se per il suo terzo lungometraggio non abbia optato per un’esperienza di rinnovamento, pur restando fedele al proprio universo e alla sua estetica dello sguardo.

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