#Venezia79 – Incontro con Peter Greenaway

Il regista ha presentato a Venezia Classici la versione rimasterizzata in 4K del suo “I misteri del giardino di Compton House”. Tra gli argomenti trattati spicca la sua prossima opera Lucca Mortis

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“Non ho mai aspirato a diventare un cineasta, non mi sento tutt’ora a mio agio nel ruolo del regista. Dipingere è molto più eccitante e io ho sempre desiderato essere un pittore. Tuttavia, molte persone sostengono che io abbia trovato un modo per fare pittura attraverso il cinema e per me va benissimo così, sono molto felice di questa definizione.”

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Peter Greenaway si racconta a 360 gradi. Non risparmia nulla: la pittura, il cinema, l’attualità politica. L’ormai ottantenne regista londinese (trapiantato da qualche anno ad Amsterdam) discute per più di quarantacinque minuti senza mai tirare il fiato. Arguto e riflessivo, curioso dell’opinione altrui, conquista l’attenzione dei giornalisti che lo circondano con il suo immancabile charme tipicamente inglese. Si trova a Venezia per presentare in anteprima a Venezia Classici la versione rimasterizzata in 4K del suo I misteri del giardino di Compton House, film che portò all’attenzione della critica internazionale il talento di Greenaway come cineasta in chiara controtendenza con il cinema hollywoodiano.

“È interessante rivedere il film dopo così tanto tempo, mi sembra quasi di non essere stato io a dirigerlo, ma qualcun altro. Credo che le caratteristiche ci un cineasta si rivelino sin dai suoi primi lavori. L’uso costante di un certo tipo di vocabolario, l’interesse per la cultura europea, il desiderio di parlare della lingua in quanto lingua e del cinema in quanto cinema e non come mero strumento per guadagnare soldi.  Posso dire di avere all’attivo circa 15 film e mi sto per imbarcare in un nuovo progetto che partirà probabilmente questo ottobre. Avrà come protagonista Morgan Freeman e sarà chiamato “Lucca Mortis”. Lucca è un’incredibile città cinta da mura romane e il mio film sarà proprio un suo ritratto. È tutto pronto per girare e il film prenderà spunto dalla meravigliosa storia del bambino sulla spiaggia raccontata da Thomas Mann nel suo meraviglioso romanzo Morte a Venezia. Il tema della seduzione all’interno di un rapporto con un minore è un tema di cui Mann e Visconti non avrebbero potuto mai parlare esplicitamente ma ora credo che sia arrivato il momento. Il mio film parlerà e approfondirà la seduzione di Tadzio, il quale diventerà un uomo distrutto dalla propria seduzione, sarà ricattato sessualmente e, come tutti gli eroi di Venezia affogherà tra le acque della laguna.”

Greenaway riflette e scherza sull’opinione condivisa nella nostra società che un uomo anziano abbia accumulato una dose di esperienza necessaria a renderlo più saggio di chi ha un’età anagrafica inferiore.

“Sono arrivato all’età di 80 anni, l’età migliore per parlare della morte. In Europa credo che l’aspettativa di vita sia di 81 anni; quindi, mi resta ancora almeno un anno in cui devo concentrare un altro film… quale valore ha raggiunto un uomo di 80 anni ammesso che abbia realizzato già qualcosa di valore negli anni precedenti? Picasso ha portato a termine una o due selezioni di stampe, Tiziano ha prodotto qualche eccellente dipinto, però la maggior parte degli artisti è finita dopo gli ottant’anni, pure Tolstoj, anche gli scienziati hanno fatto le loro più importanti scoperte intorno ai trent’anni. Anche nello sport, forse le tenniste stanno alzando l’età media ma se vuoi essere un nuotatore professionista devi avere meno di 18 anni. Il mondo è dei giovani. Cosa può fare un anziano di ottant’anni. Credo sia una diceria che invecchiando si diventi più saggi.”

Il tempo passa e porta con sé le relative rivoluzioni. Il regista de Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante ragiona su come le più recenti rivoluzioni nel mondo del cinema, dopo un primo momento di euforia, si siano incagliate in uno stallo permanente.

“Credo di essere stato uno dei primi registi affascinati e impegnati nella rivoluzione digitale anche perché credevo di poter ritornare alla pittura, ripensare e manipolare il singolo frame dell’immagine e così ho pensato che la rivoluzione digitale fosse per me un’opportunità di rivivere l’emozione di avere in mano un pennello. Ma poi tutti ritorniamo nella nostra comfort zone, solo per 3-4 anni la CGI furono innovative, poi sono ritornate ad essere noiose. Pensate a quanto è noioso l’ultimo Star Wars, è un dramma convenzionale interpretato alla vecchia maniera, con un cinema meccanico. Nessuna rivoluzione è mai riuscita, si sono sempre dimostrate un disastro.”

Inevitabile, dopo le recenti notizie dalla Gran Bretagna, una domanda sulla morte della regina Elisabetta II. Greenaway, da sempre repubblicano e schierato per il partito laburista, sfrutta l’occasione per compiere una riflessione approfondita sulla situazione politica occidentale, senza far mancare una buona dose di sagace ironia britannica.

“Cosa posso dire sulla morte della regina, io sono un repubblicano nel cuore, ma credo che un paese come la Gran Bretagna abbia un innato bisogno di avere una figura di potere. Però, la regina era una figura super-partes che però non doveva avere alcuna opinione su niente, questo credo sia anti umano. Le persone devono avere delle opinioni politiche. In più credo che l’idea di avere una dinastia di regnanti sulle basi di un singolo patrimonio genetico sia uno spreco di spazio… Comunque adesso vivo in Olanda, ad Amsterdam. La possibilità di creare una successione di governanti sulle basi della meritocrazia è un’opera praticamente impossibile, proprio per questo gli Stati Uniti sono stati per molti anni un esempio virtuoso in questo senso, anche se ultimamente hanno però questa capacità, iniziando a creare giochini mediatici come il signor Donald Trump. Probabilmente l’impossibilità di avere dei regnanti ha permesso il grande successo di Game of Thrones, si sono creati attraverso le fictions le proprie regine. In generale credo che la tendenza europea, e non solo, sia un ritorno all’ ultra-conservatorismo, cosa che mi contraria in quanto marxista-leninista.”

Si ritorna al cinema, al suo cinema, le cui direttrici sembrano delinearsi chiaramente sin dalle sue prime opere, in cui è fondamentale il sodalizio tra cinema e pittura.

“Credo che un regista debba trovare l’equilibrio tra intrattenimento e istruzione, non so quanto I misteri del giardino Compton House di sia nel giusto equilibrio. Ci sono degli elementi che producono uno straniamento nello spettatore. I dialoghi sono spesso artificiosi, la camera si muove solo due volte ma io sono un pittore e la pittura e statica, di conseguenza perché il cinema dovrebbe essere movimento? Sono dell’idea che perché ci sia un movimento di macchina debbano esserci degli ottimi motivi. Il cinema moderno è pieno di movimenti ed è in continua confusione. Inoltre, non siamo più interessati dalle invenzioni, abbiamo paura delle invenzioni. Il 3D è un’inutile perdita di tempo. Infatti, i film che utilizzano questa tecnologia sono quasi tutti spariti. Gli unici che sono rimasti sono film d’animazione giapponesi per bambini.”

Greenaway si dimostra anche molto curioso nei confronti di chi lo circonda. Incalza i giornalisti che lo circondano chiedendo loro quali siano le sue più grandi innovazioni, i loro eroi cinematografici, se il cinema contemporaneo abbia ancora qualche grande idea. A chi gli risponde “sempre meno”, ribatte:

“Questo è il prezzo da pagare diventando anziani… per quanto riguarda le innovazioni nel mondo del cinema, credo di essermi eccitato per la prima volta davanti ad un film di Ingmar Bergman, forse uno dei primi a portare la nudità al cinema, all’epoca non si poteva vedere da nessun’altra parte… sicuramente è stato il primo a portare il pensiero post-freudiano che all’epoca era qualcosa di decisamente raro nel mondo del cinema. Guardandolo con gli occhi che ho oggi, non so se sarei altrettanto entusiasta dei suoi film, d’altronde ciascuno di noi cambia i propri eroi. Per quanto riguarda altre fonti d’ispirazione personali, direi il cinema d’autore italiano e la Nouvelle Vague: sono state due stagioni artistiche incredibilmente formative per me, non posso dire lo stesso per il free cinema che trovo decisamente noioso. Non credete che il cinema politico sia morto con incredibile facilità?”

Parlando, invece, della contemporaneità:

“Il mio regista preferito contemporaneo è Ridley Scott. Forse vi stupirà. Certo, segue lo schema hollywoodiano ma ha uno straordinario occhio cinematografico e mi colpisce sempre per la sua capacità di utilizzare il linguaggio. Dà la stessa importanza a nomi, verbi e preposizioni. Nessun’inquadratura è mai sprecata nel suo cinema. Anche quando riprende un’auto che entra dai cancelli di una città, c’è sempre qualcosa di significativo nelle sue immagini. E ha realizzato tre tra i più importanti successi commerciali che sono allo stesso tempo tre esempi di cinema in grado di essere cinema: Alien, Blade Runner e il Gladiatore.”

“Lucca Mortis”, prossima fatica del regista, è già nel pieno della lavorazione, con le riprese che dovrebbero cominciare il prossimo ottobre. Greenaway non manca si sottolineare il suo particolare approccio alla nuova personale stagione cinematografica, probabilmente l’ultima della sua carriera.

“Per gran parte della mia vita ho trattato il tema ma dell’Eros ma sono arrivato ad un’età in cui ho il dovere di concentrami sull’altra metà: Thanatos. Ed è di questo che tratterà il mio prossimo progetto, la morte come presenza imminente. Spesso le persone liquidano l’argomento come se stessero bevendo un caffè freddo, anche qui in Italia per tradizione. Io invece ne voglio parlare, è una domanda essenziale che vi pongo, la morte è qualcosa di necessario? Per quanto mi riguarda è un incredibile spreco. Penso a mio padre e alla sua conoscenza del mondo, nulla di eccezionale ma quando è morto, tutto è svanito. Lo ripeto, la morte è uno spreco non necessario.”

Dopo circa quarantacinque minuti di conversazione, il regista si lascia andare ad un’interessante metafora sul mondo del cinema, rimarcando in un secondo momento l’amore nei confronti dell’arte e della pittura.

“Credo che nonostante tutto, il cinema sia ancora un’importante camera di compensazione pubblica che possa ancora parlare di argomenti taboo. Ogni regista ha la sua confort zone e tende a rimanerci. Il cinema è come andare su una barca a vela: si viene trasportati in direzioni opposte dal vento ma c’è sempre una rotta precisa verso un luogo preciso e quel luogo è sempre oltre l’orizzonte. Ma quell’orizzonte non è il solo e unico, una volta che l’avrai raggiunto, ce ne sarà sempre un altro a cui aspirerai. Il mio goal? Dimenticarmi di fare cinema e ritornare a dipingere.”

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