Widows – Eredità criminale, di Steve McQueen

Il regista di 12 anni schiavo firma un heist movie sull’America contemporanea con tanta carne al fuoco: il femminismo, i conflitti politici e razziali, il cinema di genere.

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Avevamo lasciato Steve McQueen sul palco degli Academy Award con in mano la statuetta vinta per 12 anni schiavo e alcune domande su come si sarebbe trasformata la sua carriera dopo il trionfo hollywoodiano, al primo tentativo mainstream. Lo ritroviamo cinque anni dopo, alle prese con un heist movie tutto al femminile, ancora una volta made in USA, che prende spunto da una serie televisiva anni ‘80. La mano drammaturgica è quella di Gyllian Flynn, la stessa di Gone Girl, che si impegna a tracciare i profili delle quattro donne protagoniste. Quattro vedove di criminali, morti carbonizzati dopo aver derubato un bottino che avrebbe finanziato la campagna elettorale di un sobborgo di Chicago. Ci sono i neri che non accettano più il potere dei bianchi corrotti e per vincere le elezioni sono disposti a ogni infrazione e compromesso, anche a chiedere a Veronica (Viola Davis) il denaro che il marito Liam Neeson si è portato via prima di morire. Così la donna assolda le altre “vedove” per fare un colpo ai danni del vecchio politico irlandese Mulligan, che ha candidato il figlio Jack (Colin Farrell).

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Proprio una strana miscela quella di questo Widows. C’è il conflitto politico e razziale – e la “rivoluzione” afroamericana è qui vista con estremo disincanto dal nero “inglese” McQueen – c’è l’afflato femminista e c’è il thriller con il colpo di scena finale. Ma tutti questi ingredienti arricchiscono il testo?

Di fatto si innamora spesso della bella sequenza Steve McQueen. Anzi, a essere più precisi, della “bella inquadratura”. Un esempio su tutti è la scena in cui Colin Farrell confessa, in macchina, alla sua compagna/assistente il rapporto conflittuale con la figura paterna e la sua intenzione di non barare. Ascoltiamo la confessione senza vedere il personaggio in quanto la camera car inquadra in piano sequenza le strade e i marciapiedi del quartiere, con una leggera panoramica prima a sinistra e poi a destra. Sembrano frame di Michelangelo Antonioni. Ma è una soluzione registica “mentale” che di fatto anestetizza l’impatto emotivo del turning point del personaggio. L’autore di Shame altre volte sottolinea i riflessi, i rispecchiamenti, la sofisticatezza delle superfici, la fisicità dolente della Davis, eppure appare tutto scollegato da una vera consapevolezza estetica o da un discorso teorico sulle immagini. E questa confusione stilistica si riflette inevitabilmente anche sulla narrazione e sui contenuti politici dell’operazione, che appaiono cinicamente ambigui.

Forse bisognava lasciare più spazio all’anima femminile della Flynn, che arriva sempre in leggero ritardo dentro il flusso dell’operazione. Del resto è come se il film di McQueen rimanesse in una strana via di mezzo tra Sidney Lumet e Steven Soderbergh. La sensazione è che Widows sia uno di quegli oggetti che sembrano fatti apposta per scontentare tutti: non è mai divertente, non è sufficientemente autoriale per essere un prodotto personale e appare troppo sofisticato per rispettare i canoni immersivi del film di genere. Di solito queste opere palesemente imperfette riescono a modo loro a trovare una posizione sbilenca che ci attrae in modo morboso. Widows potrebbe forse migliorare col tempo, ma per ora lascia tracce quasi invisibili e gli tocca sopportare alcuni sospetti di sopravvalutazione che al quarto titolo l’opera di Steve McQueen comincia a suggerire.

 

Titolo originale: Widows
Regia: Steve McQueen
Interpreti: Elizabeth Debicki, Colin Farrell, Viola Davis, Michelle Rodriguez, Liam Neeson, Jon Bernthal, Robert Duvall, Daniel Kaluuya, Carrie Coon, Garret Dillahunt, Lukas Haas, Jacki Weaver, Brian Tyree Henry, Kevin J. O’Connor, Manuel Garcia-Rulfo, Michael Harney, Cynthia Erivo, Molly Kunz
Distribuzione: Fox
Durata: 128′
Origine: USA, Uk, 2018

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