Yella, di Christian Petzold

Terzo capitolo della Trilogia dei Fantasmi, lo straordinario remake dell’horror Carnival of Souls. Sesso capitalismo e fantasmi. Ora su Mubi nella retrospettiva dedicata al cineasta tedesco

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L’immagine di Ofelia galleggiante tra i flutti, con i capelli da nereide che si uniscono alla vegetazione acquatica e ai fiori da lei stessa raccolti è una delle più felicemente impresse nell’iconografia artistica e cinematografica, diffusa e amata soprattutto grazie alle suggestioni visive che i Preraffaelliti ci hanno lasciato. Christian Petzold, regista di punta della cosiddetta Scuola di Berlino a fianco di autori come Angela Shanelec e Thomas Arslan, come molti cineasti si è dimostrato assai sensibile alla creatura nata dalla penna di William Shakespeare, rimaneggiando e sintetizzando la sua tragica storia: a cominciare da Yella (2007), freddo, chirurgico thriller dalle tinte orrorifiche, fino ad arrivare al magnifico revenge movie acquatico Undine (2019, disponibile su Mubi) tra dee nordiche, sirene e riferimenti mitologici, non è difficile scovare anche il fantasma di Ofelia che si aggira errabondo. Ma è solo una delle presenze che infestano il suo cinema, perennemente abitato dagli spettri del Mito e dai fantasmi della Storia.

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Non è infatti un caso che al trittico cinematografico formato da The State I’m InGhost e appunto Yella, sia stato dato il nome di “Trilogia dei Fantasmi”. Ma è forse, paradossalmente, in Yella, terzo tassello di questa narrazione per immagini, che il discorso fantasmatico esplode. Proprio lì, nella vicenda più materialistica, in quella che più si allontana dal racconto pseudo-fiabesco da dark fairy-tale del precedente e più sordidamente s’immerge negli ingranaggi del capitalismo. Certo il regista semina indizi chiari: per cominciare, questo film che prende il nome dalla protagonista Yella Fichte (con questo cognome che riecheggia neanche troppo sottilmente quello del filosofo che ha celebrato la grandezza del popolo tedesco), interpretata dall’eccezionale Nina Hoss, al secondo ruolo su quattro in un film di Petzold e premiata come migliore attrice alla 57° Berlinale, è di fatto il curioso remake di un cult del cinema horror del 1962, Carnival of Soulsdiretto da Herk Harvey. Il film racconta la storia di una talentosa organista Mary Henry che dopo una corsa in macchina con delle amiche è vittima di un incidente, precipitando giù dal ponte nel fiume. Nel gioco filmico Mary si convince di esser viva e continua la sua (non) vita intraprendendo il nuovo lavoro. Ma qualcosa di strano, di weird è all’opera…

Come Mary anche Yella, una giovane ragazza trentenne di un paesino povero dell’ex Germania Est ottiene un buon lavoro nella ricca Hannover e la possibilità di lasciarsi alle spalle un matrimonio finito con un marito possessivo e violento. Però nel tragitto verso la stazione accetta, seppur malvolentieri, un ultimo passaggio dall’ex marito che come spesso accade non può comprendere di esser lasciato e si lancia nel fiume deciso a seppellire tra le acque il loro amore e le loro vite. Tuttavia Yella sopravvive, e nonostante le premesse tutt’altro che facili, riesce a conquistarsi questa nuova, agognata, vita, scoprendo persino di avere delle straordinarie doti nel negoziare accordi con algidi imprenditori.

Ed ecco che lo sguardo del regista sul mondo della finanza, in questa Germania da poco unificata (solo sulla carta) e razziata dal capitalismo, si fa sempre più gelido, pungente, pronto a rivendicare l’eredità politica e battagliera dei suoi padri (e madri) illustri del Nuovo Cinema Tedesco, Fassbinder e Von Trotta su tutti, ed a riecheggiare le volontà dell’Oberhausen Manifesto; e così resterà nella sua cinematografia futura. Basti pensare al successivo Jerichow (2008), sempre fondato sulle sfide che i personaggi devono affrontare all’interno del sistema socio-economico in cui vivono. Un inferno in terra popolato di spettri. D’altronde, come ci ricorda Derrida nella sua rilettura e decostruzione di  Marx, la realtà in cui viviamo è una realtà spettrale, per capire la quale occorre non già una ontologie, bensì una hantologie, perché il modo capitalistico di produzione è un mondo di automi senza soggetti, un mondo nel quale i morti (le merci) dominano sui vivi (gli uomini), ed il multiforme capitale («multiforme come La Cosa di Carpenter» in una felicissima metafora fisheriana) non fa che vampirizzare senza scrupolo tutto ciò che incontra.

Il sostrato marxista e lo sguardo sulla storia, passata e presente, del suo paese è sempre vivo nel cinema di Petzold, così sensibile al dramma dell’identità nazionale, agli interrogativi sulla propria identità e su quella collettiva, al tema del lavoro e della migrazione a cui si aggiunge però appunto l’elemento eerie, perturbante, uncanny, magico o horror che vogliamo definirlo, cosa che lo rende un autore unico nel panorama cinematografico europeo e mondiale. Così la scena di Yella che si risveglia dall’incidente sulla riva del fiume, che apre e chiude il film per svelarci che, come l’eroina del film di Harvey, Yella non è affatto sopravvissuta all’impatto, è diventata immediatamente l’icona della Scuola di Berlino, fotografia di un universo dominato dal neoliberismo tanto reale e freddo quanto infestato e spettrale. Tra questi fantasmi Yella, come Ofelia non è che la vittima della folle violenza di una società dove regnano patriarcato e capitale, due facce di una stessa medaglia.

 

Berlinale 57 – Orso d’argento a Nina Hoss come miglior attrice

Disponibile su MUBI (gratis per 30 giorni accedendo da questo link)

Titolo originale: id.
Regia: Christian Petzold
Interpreti: Nina Hoss, Devid Striesow, Hinnerk Schönemann, Burghart Klaußner, Barbara Auer, Christian Redl
Distribuzione: Mubi
Durata: 89′
Origine: Germania, 2007
Genere: drammatico

 

 

 

 

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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