ZEBRA CROSSING. Lo streaming video è il futuro della musica dal vivo?

Neil Young, Patti Smith, i Dropkick Murphys… Lo streaming video vuole salvare il mondo della musica in quarantena. Ma le conseguenze sono da indagare, tra immagini amatoriali e live senza pubblico

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Per spronare il proprio pubblico a non lasciarsi andare durante la quarantena, e per rispettare una solida tradizione lunga 24 anni, lo scorso 17 marzo a Boston i Dropkick Murphys hanno suonato il loro usuale concerto per San Patrizio.

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La soluzione trovata per ovviare il problema del social distancing è stata però quanto di più “preoccupante” si potesse vedere. In uno studio musicale la band ha suonato (si spera dopo aver passato ognuno la prova del tampone) davanti a telecamere che, sapientemente coordinate, ridavano la diretta del concerto da vedere in streaming sulla pagina di youtube. Questa regia in diretta di pregevole fattura permetteva al pubblico da casa di seguire il concerto. Se la tecnica non era nuova lo era la portata “linguistica”.

La famosa atmosfera live dei concerti dei Murphys moriva sotto i colpi del covid-19, e con essa moriva anche molto della forza selvaggia della band (un’onesta celtic punk band che grazie alla potenza dei live diventa qualcosa di più).

Togliere il live ai Murphys è come togliere Napoli a Roberto Murolo. Durante la performance si vedeva Ken Casey (il band leader) provare varie volte a parlare ad un pubblico non presente, facendo finta che ci fosse o consapevolmente parlando al vuoto. L’assenza di un ritorno portava ad un silenzio talmente assordante da divenire cacofonico, così come si sentiva il peso dell’enorme e vuoto controcampo mai inquadrato.

Cosa ci dice un simile concerto? Se le immagini possono sopravviverci (e si possono creare dei cinefestival online) la cosiddetta “dimensione live” della musica non è sostituibile. Al momento, e con mirabili eccezioni (su cui torniamo alla fine), tutti gli artisti del mondo stanno salvando la musica, l’umanità e la propria carriera tramite lo strumento “streaming”, con cui si fanno ricordare dal proprio pubblico, passando attraverso l’imbuto dei media. A volte suonano live, a volte in differita, sempre protetti loro, e noi, dal “medium” che toglie il problema del corpo.

Lo streaming ci permette di godere di regali (o passati come tali) da parte di artisti che mostrano la propria intimità (come la dolce e canterina famigliola di Ethan Hawke) o da parte di giovani leve proposte saggiamente da un canale come Fader (per fare un solo esempio) che appunto canalizza l’enorme flusso verso il nostro occhio.

Il dramma della perdita del corpo porta paradossalmente ad un duplice livello di soddisfazione: il pubblico può quantomeno passare del tempo di qualità a casa, e gli artisti sono felici per un possibile ritorno di questa operazione se sfruttata in coda lunga, una volta sperabilmente finita la quarantena.

Resta il fatto che il virus ha di fatto impresso una deviazione al precedente modus operandi. Prendendo per esempio esclusivamente lo streaming video (sia esso fatto da colossi come Patti Smith e Neil Young, o da semplici musicisti come il mio amico Matteo Mignani) si riconoscono alcuni tratti linguistici notevoli.

Uno è il peeping, perché di fatto si “spiano” i “veri” spazi di vita/musica di chi suona. Tutti sappiamo bene che con le immagini si può giocare, tradire, nascondere. Quindi non è neanche detto che “quella” stanza mostrata non sia stata preparata prima (anche solo ragionando su cosa lasciare in vista). Ma di fatto stiamo partecipando dell’intimità dell’artista.

Altro nodo è la natura delle immagini proposte, le quali (riprendendo Kevin Kelly) si connotano totalmente come immagini povere o brutte (qualsivoglia e soprattutto qualsimodo siano). Non siamo mai davanti alla potenza del videoclip girato coi crismi professionali, ma sempre davanti a situazioni riprese amatorialmente. Immagini quindi che devono ridare un sapore grezzo, artigianale, home made. Immagini che ci fanno separare mentalmente due canali in testa: il canale video, povero, “quasi” rubato, già pronto come repertorio per una futura operazione marketing sul backstage dell’artista; il canale audio invece libero di suonare al netto della propria qualità, vero caldo ricordo nostalgico di un tempo pre-virus.

L’operazione dei Dropkick Murphys risulta quindi “pericolosa”, perché non è (né vuole essere) amatoriale, né vuole mostrare il lato intimo della band. Principalmente vuole ridare un concerto dei Murphys dando per scontato un pubblico che non c’è. Questo potrebbe essere il futuro se non si sconfigge il Coronavirus, ma ovviamente è la morte del mondo dei concerti per come lo conosciamo (e di tutte le istanze che tale “esperienza” si porta dietro). Se vedendo uno streaming da casa di Cesare Cremonini possiamo aspettarci di meno e siamo felici di avere di più, vedendo lo streaming live dei Murphys ci aspettiamo una potenza che non potrà mai rivaleggiare con il ricordo della stessa prima di questo periodo.

L’enorme vuoto del fuoricampo della band di Boston ci lascia confusi. Le domande iniziano a fiorire in testa come mai prima, anzi pare che questo periodo abbia sfoderato una potenza concettuale tale che i discorsi si fanno quasi da soli. Solamente nell’ambito musicale, ed eleggendo il video streaming come salvatore della patria, ci possiamo chiedere come sarà il futuro dei live set, o cosa potrà essere venduto del mondo musica in futuro, e a quanto. Il tutto consci di quanto finora sia stato proprio il live a salvare le casse del sistema musica.

Fin qui la musica. Se invece pensiamo alle immagini usate per lo streaming anche lì sono varie le riflessioni da fare. Ci accorgiamo infatti che il mero dato reale di Mr. X che suona può anche sovrastare l’immagine in sé (non è importante se l’immagine è brutta ma è importante che l’immagine arrivi), o che le due entità “video” e “suono” possono essere totalmente slegate (l’immagine amatoriale di Neil Young girata a casa da sua moglie Daryl Hannah assume valore specifico di per sé, a prescindere dalla musica), o che lo streaming sembra essere un ultimo tentativo di sopravvivenza umana (forse prima della nostra scomparsa perché portatori di malattie).

L’epidemia ci fa pensare a come, venendo meno l’umano nelle attività produttive industriali (si pensi come, al momento, il settore auto è giù del 90%) tale umano ritorni laddove resta l’unica entità che può ancora dare il tocco emotivo allo strumento. Ma allora lo streaming diventa una specie di camera nascosta di ciò che di emotivo può essere salvato, laddove per esempio il cinema prosegue un proprio cammino verso la morte del set e il trionfo dell’idea che diventa post produzione (si pensi quindi a quanto sia stato profetico Michael Bay).

Il virus può veramente essere quella scossa al sistema capitalistico che da Napster in poi continua a portare la musica sul web a ridefinire ciclicamente il proprio rapporto con il mercato. Lo streaming è lo strumento più adatto a tale operazione. Regalando le proprie gemme preziose Neil Young ci vuole far “viaggiare” durante la quarantena portandoci tutti davanti al proprio camino (qualsivoglia sia) abbattendo il paywall abituale del suo sito di Archives.

Lo stesso vale per i NIN che regalano due magnifici dischi proprio in questo periodo. Non è streaming è vero, ma l’operazione “colpisce” il pubblico durante la quarantena. La volontà di ampliare i nostri orizzonti (missione storica di Reznor) diventa ulteriore bisogno di ampliarli a causa del contingente.

Ma per arrivare dove? Questo è un altro nodo. Il doppio dei NIN prosegue un discorso iniziato nel 2008 con Ghosts I-IV e chiude il cerchio di quella sperimentazione sulle colonne sonore portando tutto ad un livello superiore. Infatti i due lavori (soprattutto Ghosts VI) possono essere ascoltati come reali tappeti sonori della nostra vita al tempo del Coronavirus.

Quindi la musica torna consapevolmente ad essere aria, aria da respirare, e da reincanalare in operazioni altre, come il celebrato impegno del musicista Reznor come film composer. E questo purtroppo può anche rispondere alla domanda circa i live che potrebbero anche non potersi mai più fare. La musica tornerebbe perciò ad essere elemento essenziale da far conoscere solo via media o al massimo privatamente, come private sono le immagini che la testimoniano ora.

Nel 2001 Steve Jobs annunciava al mondo l’avvento dell’iPod. Questo piccolo strumento si poneva sulla linea del precedente walkman digitalizzandolo e portando una intera libreria di cd in una tasca. Veniva quindi meno il supporto ma si passava ai file da trasportare con sé. Il contesto privato quindi si approfondiva ulteriormente, come non aveva cessato di farlo mai. Ma oggi questo “privato” significa che se vedo il mio cantante suonare il pezzo che amo penso alla relazione intima che ho con il suo mondo, magari finta ma comunque reale, e ovviamente il passo successivo è pensare al selfie, dato che in questo modo facilmente l’ego di chi si mostra esplode.

Si capisce perciò lo sdegno lucidissimo di Nick Cave che si dice del tutto non interessato allo streaming. Il cantante e poeta australiano preferisce chiudersi per meglio riflettere su cosa stia avvenendo. Immaginiamo molto bene una mente così sensibile provare a rispondere alle domande che ci stiamo ponendo. O quantomeno a chiedersele. Senza curarsi di farsi vedere in streaming mentre suona per un pubblico che di fatto non c’è. La dimensione mentale diventa allora fondamentale, e stare in silenzio significa la salvezza.

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