"Notte senza fine – Amore tradimento incesto", di Elisabetta Sgarbi

Non tanto un cinema di parole, dunque, quello di Elisabetta Sgarbi (ma i testi, pregevoli, sono pagine scritte da Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun e Hanif Kureishi) quanto di vertigini e profondità virtuali nel corpo senza corpo del nero, che è superficie seducente e voragine senza fine.

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Escono dal buio e duettano con le ombre i personaggi di Notte senza fine, colti tutti nella definizione di una gestualità ripetitivamente ipnotica, ingannevole nella falsa fissità di un film che, al contrario, respira di tensioni affioranti e di moti fulminei. Figure di acqua, aria e roccia, si lasciano osservare, si fanno ascoltare come se stessero rivelando segreti nascosti e inesprimibili (tre storie per altrettanti quasi monologhi recitati da Galatea Ranzi, Laura Morante, Toni Servillo, Anna Bonaiuto), in realtà giocano con la luce, si scambino di posto con i fulminei bagliori che aprono lo schermo. Non tanto un cinema di parole, dunque, quello di Elisabetta Sgarbi (ma i testi, pregevoli, sono pagine scritte da Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun e Hanif Kureishi) quanto di vertigini e profondità virtuali nel corpo senza corpo del nero, che è superficie seducente e voragine senza fine. I "racconti", infatti, sono fatti di parole che, al loro interno, hanno già un'immagine da immaginare più volte, da costruire nelle ipotesi di una visione che è esercizio del pensiero, le atmosfere risentono del tempo che ha depositato la sua storia sulle pietre di costruzioni non viste, il ritmo segue l'alterna vivacità del vento. Intrecci, sovrapposizioni, saturazioni dello sguardo per immagini che accendono tutti i sensi. Perché quello che non si sente è affidato ad una percezione più lucida, quello che non si dice è un conoscere che va oltre le contingenze, quello che non si vede esprime su di sé il desiderio di vedere.

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Basta accettare la profondità di un mondo descritto per allusioni, spiato nelle improvvise lingue di luce capaci di cambiare lo spazio, oppure lasciarsi vincere dalla mutevolezza dell'improvvisazione o, altrove, fermarsi davanti alla fermezza della ragione. Non si tratta mai, però, di luoghi o situazioni rappresentabili nella semplicità della loro "forma", piuttosto, l'attenzione di Sgarbi, si spinge alla dimensione impalpabile delle cose, come la tenda di "Tradimento" che sembra dividere lo spazio e celarlo, in realtà lo fa risuonare di vibrazioni che si rincorrono moltiplicando le traiettorie del vedere e, soprattutto, rendendo filmabile l'aria, come fosse l'eco dei "romantici" sospiri e il confidente estremo di ogni parola. Risonanze di liquidi, invece, in "Amore", dove il senso nostalgico del testo trova riscontro nell'invenzione prospettica di un luogo che pare inesistente, animato da immagini senza peso, proiezioni di luce di mondi evocati e quindi sempre presenti. Sperimentazione visionaria, infine, è "Incesto" nell'idea del controcampo impossibile, aggirato, trasfigurato traslato nel controcampo (anche questo impossibile) di una voce in alternanza, o meglio, nel suo sdoppiamento, ancora una volta fonte di immaginarie digressioni dell'occhio nel sovrapposti tempi di una vita.


 


Regia: Elisabetta Sgarbi


Int.: Galatea Ranzi, Toni Servillo, Laura Morante, Anna Bonaiuto


Prod.: Istituto Luce/Betty Wrong


Distribuzione: Istituto Luce


Durata: 90'


Origine: Italia 2004


 

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