DOCUMENTARIO – Paesaggi documentari

Alberi di Michelangelo Frammartino

Come lavora il paesaggio nel cinema del reale, nelle forme documentarie che riprendono e rielaborano le istanze più vitali della modernità? Il paesaggio è un agente trasformatore, dell’immagine e del cinema, esso instaura un “movimento di mondo”, come direbbe Deleuze. Un percorso a partire dalle immagini-mondo di Frammartino, Cattini, Cioni, Fasulo.

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Alberi di Michelangelo FrammartinoChe cos’è un paesaggio? Soprattutto, che cos’è un paesaggio al cinema? Ancora, che cos’è un paesaggio nel cinema documentario? No, la domanda è errata, non può essere posta così, non può essere una questione di essenza (il “che cos’è”), ma una questione di “pratiche”. Non si può più chiedere che cos’è il cinema, ma la domanda si sposta altrove,  verso qualcosa di più urgente: che cosa fa il cinema, cosa può fare il cinema? Dunque riformuliamo la domanda: Come lavora un paesaggio nel cinema e, parallelamente, come il cinema opera attraverso, lungo, nei paesaggi?

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Sono domande che sorgono a partire dal riconoscimento che esiste una forte tendenza nel cinema italiano del reale, nelle forme documentarie più accorte, poetiche, teoricamente ed esteticamente consapevoli a ripensare lo spazio, i luoghi abitati e naturali come spazi “operanti” all’interno del dispositivo dell’immagine, spazi in cui, riprendendo l’espressione di Deleuze, c’è un “movimento di mondo”, vale a dire non più un rapporto duale tra personaggio e ambiente, ma un movimento congiunto, fatto di metamorfosi, di passaggi e trasfusioni l’uno nell’altro. I corpi sono paesaggio, il paesaggio non è sfondo ma si modifica in relazione ai corpi che lo abitano o lo attraversano. Vengono allora in mente alcune prove recenti di autori che sempre più stanno marcando una tendenza in questa direzione. Nel corto Alberi – presentato in anteprima come istallazione in loop al Tribeca Festival a New York – l'ora blu di Stefano Cattiniultimo lavoro di un regista sorprendente e al di fuori dagli schemi come Michelangelo Frammartino, un’antica cerimonia di un paese della Lucania, in cui degli uomini si ricoprono di rami dalla testa ai piedi per trasformarsi in veri e propri uomini-albero, il paesaggio si trasforma radicalmente, diventa parte integrante del movimento dello sguardo della camera, è ciò che scopre (il paese di Armento che emerge improvvisamente dai rami del bosco) e che maschera (è la natura a muoversi all’infinito, mentre i corpi sono spesso immobili, tranne quando si trasformano in alberi). Alberi mostra allora un movimento del mondo che lavora il tempo antico della cerimonia, mostrando uno spazio che diventa senza tempo (pur essendo “reale”). Il “movimento di mondo”, è ciò che caratterizza le immagini di un cinema che non ha paura di mettersi in gioco, di ricreare nuovi nessi, nuove connessioni tra le cose. La forza di queste immagini è allora quella di non pensare come stabili i rapporti tra le immagini e la materia, in tutti i modi possibili. Il reale si mobilizza allora, si trasforma, si mostra come qualcosa di profondamente diverso dal puro sfondo, dal luogo che sorregge e circonda gesti od eventi.

rumore bianco di alberto fasuloIl paesaggio sacralizzato di Alberi si riflette allora – in un film come L’ora blu di Stefano Cattini – in un luogo di vita, che offre resistenza ai due protagonisti, due “cittadini” che scelgono, al tramonto della loro esistenza, di lasciare tutto e di trasferirsi in campagna, di vivere cioè una seconda possibilità. Ed ecco che allora la forza poetica del film si riflette in questo agon, in questa lotta contro una natura che accoglie e respinge, ferma e mobilissima al tempo stesso. Il riferimento temporale del titolo (l’ora blu) non è allora casuale, non solo perché si connette a L'Heure bleue, il primo episodio dello straordinario Reinette e Mirabelle di Rohmer (anch’esso film su una natura-paesaggio mobile e senza tempo), ma perché è proprio in questi istanti di tempo che il mondo, i corpi e i paesaggi, muovendosi, incontrano (anche solo per un attimo) nuove costellazioni, nuove immagini-cristallo, per citare ancora Deleuze.

Gli intrepidi di Giovanni CioniIl paesaggio naturale non è mai neutro, ma è e può essere un brulicare di vita e di sguardi. Ogni film su un fiume, da Vigo a Renoir, è in fondo questo, il racconto di un mondo che rivela immagini e forme di vita. È in questa prospettiva che si può allora pensare  lavori che fanno dell’acqua uno spazio mobile, di proiezione e di vita, come fa Alberto Fasulo in Rumore Bianco, straordinario viaggio mobilissimo attraverso il Tagliavento in cui il suono (Fasulo ha lavorato a lungo come fonico di presa diretta) è il mezzo con cui il mondo apparentemente immobile del fiume diventa mobilissimo, brulicante di vita e di mistero. I paesaggi del cinema del reale assumono allora con forza e consapevolezza il ruolo di portatori di movimento, spazi che aprono e chiudono, che respirano e avvolgono, che si ricoprono di tempo e di memoria, come nell’inizio straordinario de Gli intrepidi di Giovanni Cioni, in cui figure arcaiche emergono dalle acque di un lago toscano, quasi a sottolineare il ruolo del mondo come portatore di memoria e di immaginario e non solo come spazio che contiene storie e corpi. Le immagini potrebbero moltiplicarsi, altri film e altri nomi potrebbero emergere, ma ciò che conta è sottolineare, ancora una volta, la forza contemporanea di un cinema che raccoglie le istanze più vitali del moderno, non per celebrarle, ma per attuarle.

 

 

ALBERI, IL FILM IN LOOP DI MICHELANGELO FRAMMARTINO

 

 

 

L'ORA BLU di STEFANO CATTINI

 


RUMORE BIANCO di ALBERTO FASULO

 

 

GLI INTREPIDI di GIOVANNI CIONI

 

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