IL TALENTO DI MR. RIPLEY, di Anthony Minghella














Titolo originale: The Talented Mr. Ripley
Regia: Anthony Minghella
Sceneggiatura: Anthony Minghella dal romanzo di Patricia Highsmith
Fotografia: John Seale
Montaggio: Walter Murch
Musica: Gabriel Yared
Scenografia: Roy Walker
Costumi: Ann Roth, Gary Jones
Interpreti: Matt Damon (Tom Ripley), Gwyneth Paltrow (Marge Sherwood), Jude Law (Dickie Greenleaf), Cate Blanchett (Meredith Logue), Philip seymour Hoffman (Freddie Miles), Jack Davenport (Peter Smith-Kingsley), James Rebhorn (Herbert Greenleaf), Sergio Rubini (ispettore Roverini), Philip Baker Hall Alvin McCarron).
Produzione: William Horberg, Tom Sternberg, Alessandro von Norman
Distribuzione: Buena Vista
Durata: 139'
Origine: Usa, 1999


E' difficile riaccostarsi a un genere di cinema didascalico e descrittivo nel momento in cui l'occhio si adatta a nuove fisionomie; abituato ormai anche da grandi registi come Lynch e Scorsese a rintracciare nel contenitore-cinema il contenuto-uomo, lo sguardo dello spettatore è sempre meno vittima della finzione e sempre più consapevole di dover compiere uno sforzo di messa a fuoco, cercando di riconoscere gli orpelli descrittivi e di reintegrarli nell'economia di una visione/prodotto della ricerca che comincia dall'individuo e su di esso si chiude. Forse per questo Il talento di Mr. Ripley può risultare una pellicola difficile da identificare, rischiando di ridurla a un puro esercizio di maniera, privo anche di quelle sfumature psicologiche così ben distribuite da Patricia Highsmith nell'omonimo romanzo dal quale il film è tratto. Minghella intende liberarsi dei fantasmi letterari compiendo una scelta di stile: privilegia il genere, quello del film noir, identificato nell'immaginario filmico dal bianco e nero, lo spoglia della patina di polveroso grigiore che ne aveva incancrenito le forme donandogli nuovo smalto attraverso un uso della fotografia che non prevede chiaroscuri, ma timbri cromatici definiti e brillanti. Se in parte, dunque, è rispettabile e esteticamente motivata la scelta di escludere dalla pellicola le descrizioni delle singole psicologie che rappresentano la forza del romanzo, il meccanismo traballa nel momento in cui il regista, probabilmente restio all'utilizzo della didascalica voce fuori campo, si affida completamente alla capacità degli attori delegando loro il compito di delineare, attraverso la sola recitazione, i tratti e le caratteristiche dei personaggi.
Aiutato anche dalla fisionomia degli attori, il regista restituisce i personaggi di Dickie (Jude Law) e Marge (Gwyneth Paltrow) con assoluta fedeltà rispetto agli originali. Law incarna perfettamente la spregiudicata spensieratezza di Dickie (giovane americano ozioso con una rendita tale da consentirgli di godersi una prolungata vacanza in Italia) mentre per il personaggio di Marge (la fidanzata di Dickie, essendo l'unica americana nei paraggi) è sufficiente la recitazione sempre sbiadita e monocorde della Paltrow a disegnare i tratti di una figura che sia nel film come nel romanzo resta in ombra. Per il personaggio di Tom Ripley (giovane senza qualità, ma eccessivamente ambizioso, spedito in Italia dal padre di Dickie con lo scopo di ricondurre il figlio in America, che s'innamora della vita del giovane e a tutti i costi cercherà di prendere il suo posto) estremamente complesso e sfaccettato, Minghella, sopravvalutando le capacità recitative di Matt Damon, produce un grande vuoto, soprattutto di senso a scapito della comprensione del personaggio. Gli ossessivi e reiterati conflitti interiori di cui Tom è vittima ogni qualvolta un accadimento sembra far crollare il castello di finzioni sul quale si regge la sua personalità, non trovano la giusta collocazione fra le maglie del racconto e, invece di diluire dettagli e sfumature di una psicologia che da sola rappresenta il "personaggio/talento", il regista sembra ricordarsene soltanto alla fine, racchiudendo la manifesta complessità del personaggio nell'immagine speculare di un se stesso duplicato. Così se da una parte è giusto riconoscere al "Talento di Mr. Ripley" il merito di aver ridato vita e forma nuova ad un genere, il noir, che per definizione deve contenere e dosare le sfumature, le più oscure dell'animo umano, dall'altra sembra che ci si trovi di fronte a una pellicola divisa fra il compiacimento nella cura del particolare che tanto ricorda lo stile Jamesiano e un assennato rincorrere il referente letterario che in parte si vorrebbe dimenticare, ma di cui inevitabilmente si avverte il peso.

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Valentina Longari
 

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