VENEZIA 71 – Chuangru zhe (Red Amnesia), di Wang Xiaoshuai (Concorso)

Red Amnesia Review

Wang ritenta quella fertile indistinzione (tipica del suo cinema) tra indagine socio/antropologica sulla Cina odierna e pedinamento attento dei personaggi fusi in una sorta di landscape dei sentimenti. In Red Amnesia, però, il suo discorso incredibilmente ambizioso resta tutto sulla carta, cedendo a una furia (di)mostrativa un po’ troppo vigile per far apparire i fantasmi e un po’ troppo lucida per farci avvertire l’emozione che li muove

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http://s3.amazonaws.com/media.tiff.net/content/carousel/2c18070719a3165aed83d4cf77b877c1.jpgAmnesia Rossa. Torna alla regia Wang Xiaoshuai, uno dei cineasti più anziani della cosiddetta sesta generazione di registi cinesi – insieme a Jia Zhangke, Zangh Yuan, ecc -, quella che (ha) racconta(to) non tanto i costanti cambiamenti politico/sociali del più popoloso paese del mondo, quanto la rimozione di intere memorie collettive che a quegli stessi cambiamenti sono addebitabili. Il passato recente riemerge puntualmente in un cinema concepito come dispositivo teso a riattivare una memoria emotiva: Wang racconta qui la parcellizzazione della vita odierna in una metropoli (l’appartamento dell’anziana protagonista Deng è spettrale come fossimo in un classico film horror) e il ritorno dei traumi rimossi e sepolti (l’edificio ormai sventrato della vecchia fabbrica di campagna in cui lavorava torna a inizio e fine film come luogo senza tempo, quasi una zona tarkovskiana). Red Amnesia configura così lo scontro, il crash, tra due mentalità distanti anni luce eppure divise solo da una singola generazione: la libertà individuale anelata cozza con l’impossibilità ontologica di concepire l’altro-da-se come soggetto di sguardo (la madre Deng si concepisce un tutt’uno coi suoi figli e li vessa con un controllo sistematico).

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E allora più che corteggiare il pedinamento zavattiniano teorizzato da Wang in passato, il film si trasforma ben presto in lucidissima fenomenologia dell’anziana Deng(corpo)Cina: un’indagine sui suoi movimenti, stati d’animo, ossessioni, compulsioni, visioni e distorsioni. Chi telefona anonimamente spaventandola e mettendola in costante tensione? Chi è questo ragazzo che improvvisamente irrompe nella sua vita tentando di ammazzarla e poi carezzandola, scomparendo come un fantasma ma a sua volta incapace di vedere gli “altri” fantasmi? Noi spettatori siamo gettati nell’abisso della visione di Deng, subiamo la sua incapacità di distinguere i fenomeni, come chiara conseguenza dei continui e ripetuti rimossi sociali che attanagliano il tessuto connettivo delle metropoli cinesi odierne. Costruite da forzose migrazioni di massa nel post Rivoluzione Culturale, villaggi svuotati, industrializzazione e gestione utilitaristica di immense fasce di popolazione rilocate nel territorio.

Red Amnesia ReviewWang ripropone in pieno quelli che sono stati i punti di forza del suo cinema, come la fertile indistinzione tra indagine socio/antropologica sulla Cina odierna e pedinamento attento dei personaggi fusi in una sorta di landscape dei sentimenti (a volte molto riuscito come in Shanghai Dreams o 11 Flowers); in Red Amnesia, però, tenta anche strade nuove e ci immerge in atmosfere da horror psicologico che ricordano quasi il cinema di Kiyoshi Kurosawa nella dilatazione dei tempi e nella gestione della tensione. Una regia concepita come costante soggettiva dell’altro su di noi, che sorveglia e (non) esiste, un tema carissimo e sin troppo significante nel cinema cinese odierno (pensiamo a una promettente cineasta come Vivian Qu). Il problema di questa operazione così affascinante e complessa, però, sta in una scrittura (anche registica) troppo programmatica che castra progressivamente le parabole di Deng e del suo fantasma. Il discorso incredibilmente ambizioso di Wang resta tutto sulla carta, svelandosi in tutta la sua immanenza pre-detta che alla lunga risulta alquanto anestetica. Sono i fantasmi della Cina passata a scoprirsi umani, non viceversa, il cinema ha il dovere di dissotterrare queste memorie e di riconsegnare loro carne, ossa e testimonianza, per aprire una finestra sul mondo (il finale è quanto di più evidente) e instaurare dialettiche e link con un passato rimosso. Va bene. Ma al Jia Zhangke di Still Life, Il tocco del Peccato, o dell’immenso I Wish I Knew basta veramente un frame, un primo piano fugace di Zhao Tao, per schiudere improvvise faglie di memoria e farle confondere al presente con un dolore lancinante che è già cinema…in Red Amnesia, invece, tutta questa imponente costruzione concettuale partorisce una furia (di)mostrativa un po' troppo vigile per far apparire i fantasmi e un po’ troppo lucida per farci avvertire l’emozione che li muove.

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