L’albero degli zoccoli, di Ermanno Olmi

Un racconto ininterrotto di una quotidianità carica di eventi silenziosi attorno alla fragile materia vivente della civiltà contadina. Palma d’oro a Cannes. Domenica 10 giugno, ore 2.00, Rai 3

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La carriera di Ermanno Olmi è stata contrappuntata da una visibilità che pur non avendo nulla del divistico lo ha portato indubbiamente, in più occasioni, sotto i riflettori, ma per converso il suo cinema è, invece, quanto di più appartato, sinceramente personale e legato alla memoria personale prima e collettiva dopo, che possa esistere. Sullo stesso piano solo il cinema di Franco Piavoli che poi a guardarlo tutto ha intenzioni e scaturigini del tutto differenti da quello dell’autore bergamasco.
Un esempio di questa ambivalenza del cinema olmiano è L'albero degli zoccoli, E. Olmiproprio L’albero degli zoccoli, Palma d’oro al Festival di Cannes del 1978 e film pluripremiato e che ha raggiunto l’America e il lontano oriente, cinema divenuto globale, al di là di ogni intenzione del suo regista e comunque per un film che invece è strettamente legato culturalmente e umanamente ad un posto preciso e a delle bene individuate tradizioni e racchiuso in un microcosmo davvero così minuscolo che anche la Milano dei primi del ‘900 diventa un luogo di perdizione e già metropoli tentacolare. Quindi un cinema che anche linguisticamente si posiziona al di fuori di ogni possibile globalizzazione e che, invece, diventa subito oggetto di interesse dalla Thailandia al Canada. Segno che la

L'albero degli zoccoli_2globalizzazione è stato qualcosa di sempre presente ed è innata nella natura umana che riconosce i segni che ci rendono identici a prescindere dalla cultura e dalla etnia di appartenenza.
Le affermazioni di Olmi in limine all’uscita del film confermavano le supposizioni che come semplici spettatori ci eravamo fatti all’epoca guardando il film in sala dopo i trionfi francesi. L’albero degli zoccoli è quindi un film sulla memoria che traduce in immagini e quasi con una dettagliata topografia dei luoghi, i ricordi dei nonni – in particolare della nonna – in un’operazione sicuramente di riduzione alla semplicità, come tutto il suo cinema, che non solo non è semplicismo ma neppure ruffiana naiveté.
Le prime quattro o cinque inquadrature servono a delimitare il territorio, con questa funzione quasi topografica e di delimitazione dello spazio che sarà lo scenario del film, Olmi sembra volere sottolineare la natura strettamente L'albero degli zoccoli, Olmipersonale e perfino identitaria del film. Un ulteriore segno delle connotazioni precise che si è voluto affidare all’opera è l’uso della lingua. Interpretato da attori non professionisti, metodo frequente nel cinema di Olmi, L’albero degli zoccoli è interamente girato in dialetto bergamasco e la versione riconosciuta dal suo autore è solo quella nella quale le didascalie in italiano si sovrappongono al dialetto dei luoghi. Il film traduce in immagini l’esigenza strettamente personale di narrare quel tempo, affidare la memoria e ricostruire un immaginario ereditato come le brevi didascalie iniziali sottolineano. Ma Olmi risponde, con questo lavoro, anche al bisogno di radicare il proprio percorso futuro e un film così austero e severo costituisce il riflesso della propria formazione e sembra assumere la forma e il valore del viatico per il L'albero degli zoccoli, Ermanno Olmifuturo. Olmi rispetta la propria tradizione, anzi la enfatizza, ma quasi sottovoce. Ciò che fino ad allora il suo cinema aveva espresso solo per tracce, per intuizioni e induzioni postume, qui diventa palese, si manifesta nella sua pienezza e secondo il registro rigoroso, ma quasi pudico che è una caratteristica costante del cinema di Olmi.
L’albero degli zoccoli si affida al racconto ininterrotto di una quotidianità carica di eventi silenziosi che formano la fragile materia vivente della civiltà contadina, permeata di riti e leggende, abitudini e preghiere, nel ciclo uguale delle stagioni e destinate ad infrangersi al crescere di una urbanizzazione inarrestabile. Quel film nasce dai racconti dei suoi antenati e si forma, nel montaggio attraverso il lavoro del solo regista nella sua residenza di Asiago dove, con pazienza, il regista riscrive alla moviola il proprio film. In questa lenta ma anche personalissima realizzazione sta forse l’aura magica che sembra sovrastare le immagini, la dove nulla accade e la dove tutto è manzoniana provvidenza e grazia divina.
L’albero degli zoccoli non ha la dirompenza rivoltosa di L'albero degli zoccoli, 1978Novecento, né costruisce la sua esistenza artistica sulla goduriosa e gigantesca memoria felliniana di Amarcord. Ermanno Olmi, erede di un altro mondo, non scrive nessuna epopea e soprattutto non mitizza e non enfatizza i tempi del passato. La sua lente del ricordo è filtrata, come al solito, da un sincero cattolicesimo e in questo trova sempre un equilibrio stabile così come il resto della sua ammirevole produzione ha sempre confermato, anche quando il suo cinema non ha raggiunto gli splendori massimi, come, invece, è accaduto in questo film.
L'albero degli zoccoliUn racconto che sembra volere elidere gli eventi, azzerare la narrazione nel flusso costante dei ricordi. In una cascina nella bassa bergamasca si intrecciano le vite dei contadini ospiti del padrone delle terre che coltivano. Nel finale, amaro per la famiglia del Batistì vi è tutta la debolezza di una comunità che perde il senso di solidarietà del …se non ci aiutiamo tra di noi… La povera famiglia del contadino, colpevole di avere tagliato un albero per fare uno zoccolo al figlio che andava a scuola e che in quel tragitto lo aveva rotto, è da sola nel buio della sera dopo essere stata cacciata dalla cascina. I vicini, gli amici, gli altri guardano da dietro ai vetri, ma nessuno testimonia la solidarietà naturale.
Il cinema di Olmi in questi ultimi anni ha insistito molto sui temi della solidarietà da Centochiodi a Il villaggio di cartone, ma il tema in fondo è costante anche nella sua primissima produzione con altre forme e segnali. Un tema che trova forma quando se ne sottolinea l’assenza come nella inefficace solidarietà postuma di Un certo giorno, un film che rappresenta lo sguardo verso quella borghesia che ha spazzato via la civiltà contadina di L’albero degli zoccoli.L'albero degli zoccoli_1
La coerenza del cinema di Olmi è indiscutibile, la sua presenza nel cinema rappresenta ancora un’Italia sospesa tra le tradizioni radicate e inestirpabili e una mal compresa modernità e in questo, pur da sponde opposte, la sua poetica è straordinariamente affine a quella di Pasolini.
Olmi ci insegna la pazienza, i suoi racconti sono un lungo racconto delle pazienze e qui nel costruire le storie quotidiane di quelle famiglie alle prese con i problemi del raccolto e degli animali, dei figli che arrivavano e della povertà che dominava, delle coppie che si sposavano e con i cicli stagionali che fanno maturare i “pumates”, Olmi insieme alla pazienza sembra fare trascorrere davvero la vita inclinando talvolta verso un lirismo che sa di una naturale conciliazione con il mondo e a volte con la vita dura e resa commovente dalle piccole angosce e da uno zoccolo rotto che porta con se la rovina.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Regia: Ermanno Ilmi

Interpreti: Francesca Moriggi, Luigi Ornaghi, Antonio Ferrari, Carmelo Silva

Durata: 170′

Origine: Italia 1978

Genere: drammatico

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