L’arte della fuga, di Brice Cauvin

Dal romanzo di Stephen McCauley, con una scrittura che sembra scorrere in sovrimpressione. Guarda verso Sautet, passa per la Jaoui, ma la fuggevolezza è solo nelle intenzioni

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Il romanzo di Stephen McCauley e la citazione di Rivette in apertura. Scorre come in sovrimpressione una scrittura parallela alle azioni nella rappresentazione di una particolare famiglia disfunzionale. Tre fratelli. Tutti con una situazione sentimentale precaria. Antoine (Laurent Lafitte) vive con Adar (Bruno Putzulu) ma pensa spesso ad Alexis (Arthur Igual). Louis (Nicolas Bedos) ha una relazione con Mathilde (Irène Jacob) anche se si sta per sposare con Julie (Élodie Frégé). Gérard (Benjamin Biolay) non si è ancora ripreso dopo che la moglie lo ha lasciato ma intanto inizia a frequentare Ariel (Agnès Jaoui), una collega di lavoro di Antoine. In più ci sono i loro genitori (Marie-Christine Barrault e Guy Marchand) spesso invadenti e critici nei confronti delle scelte dei figli.

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Quasi un lungo flashback. Che parte dall’inquadratura di Antoine che sta piangendo. Con un ritmo che ha un andamento musicale, in una giocosa visione che è in realtà molto costruita. Brice Cauvin, al secondo lungometraggio realizzato nel 2014 dopo De particulier à particulier (2006) filma ancora incertezze sentimentali, turbamenti amorosi. Lì c’era una coppia di trentenne, qui le dinamiche di una famiglia. Dove Rivette entra in gioco soprattutto nel ‘teatro della vita’, in cui i personaggi recitano a volte le loro battute come se si trovassero in un palcoscenico e non sulla strada. E dialoghi come “È sempre meglio avere rimorsi che rimpianti” rimbombano troppo in una commedia che vorrebbe apparire fuggevole. Che guarda un po’ Woody Allen anni ’70. Poi passa per ‘les choses de la vie’ di Claude Sautet in cui il fantasma appare soprattutto negli sguardi sui tavolini dei bistrot. E tutto sembra filtrato attraverso il cinema come regista di Agnès Jaoui. Presente tra i protagonisti nei panni di Ariel e figura stravagante che vorrebbe colorare il film come spesso avviene nel suo cinema; non a caso è stata consulente alla sceneggiatura assieme allo scrittore Stephen McCauley ma sembra che il suo apporto sia entrato in collisione con la scrittura dello stesso regista e di Raphaëlle Desplechin-Valbrune.

Troppi sguardi sui personaggi. I pedinamenti hanno spesso un itinerario preciso. Come nella scena in cui Antoine scopre, mentre è nascosto in casa, che il compagno ha una relazione. La casa da trovare, il catalogo della mostra, il negozio in crisi dei genitori sembrano tutti dei luoghi paralleli, dei ‘teatri’ distanti e uniti per abili esercizi di messinscena. La fuga sì, qui è un’arte. Ma i protagonisti in realtà sembrano girare in modo concentrico. In un cinema che vorrebbe ma non sa depistare. Che indovina qualche trovata in mezzo a un’elegante monotonia.

 

Titolo originale: L’art de la fugue

Regia: Brice Cauvin

Interpreti: Laurent Lafitte. Agnès Jaoui, Benjamin Biolay, Nicolas Bedos, Marie-Christine Barrault, Guy Marchand, Bruno Putzulu, Irène Jacob

Distribuzione: Kitchen Film

Durata: 100′

Origine: Francia, 2014

 

 

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