#Venezia74 – Our Souls at Night, di Ritesh Batra (con #RobertRedford e Jane Fonda)

Tutto Our Souls at Night sembra essere una sorta di celebrazione della resistenza vitale alla morte. Che cos’è la vita, in fondo? “vivere la propria giornata e raccontarla la sera” a qualcuno

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e avere la possibilità

di raccontartela,

la sera

Ci sono tante storie possibili interessanti che ruotano attorno a questo “piccolo grande film”, prodotto e interpretato da Robert Redford, qui al Lido per ricevere insieme a Jane Fonda (co-interprete del film) il Leone d’Oro alla Carriera.

C’è la scelta politica di Redford, dagli anni ’80, all’apice del suo successo d’attore e regista, di impegnare le sue risorse ed energie nel progetto del Sundance, Festival/Laboratorio che da allora è diventato una sorta di “marchio”, di stile di cinema (che piaccia o meno), un modo per sostenere un cinema indipendente dalle Mayor hollywoodiane. Ritesh Batra, il regista, viene proprio da questo progetto del Sundance Institute, l’organizzazione no profit presieduta proprio da Redford. Cinema indipendente come scelta “naturalmente americana”, come ha spesso ripetuto, una sorta di laboratorio “di resistenza” per mantenere alto il profilo cinematografico sul quale si è formato – negli anni Sessanta –  l’ottantunenne regista di Santa Monica.

Dall’altro c’è la scelta – benedetta dalla Biennale di Alberto Barbera – di distribuire questo film (come il suo precedente da attore, molto bello, recuperatelo, The Discovery) attraverso la piattaforma Netflix, avallando quindi il concetto che il cinema non ha una destinazione obbligata nelle sale e, nonostante le scelte anacronistiche del Festival di Cannes, si può far vedere cinema in tanti e differenti canali e dispositivi possibili (più giovane quindi di Almodovar che predica ancora le dimensioni dello schermo…).

Ma è innegabile che questo film, sostenuto dal contesto del prestigioso premio veneziano, è un’incredibile viaggio dentro la resistenza, magica e sorprendente, di due star del cinema come Robert Redford e Jane Fonda. Dopo 50 anni e passa di 

Redford 3film ed entrambi intorno agli 80 anni, eccoli ancora celebrati come all’apice della loro carriera, complice una filmografia che li ha visti lavorare insieme altre tre volte, dai tempi de La caccia, di Arthur Penn, fino a Il cavaliere elettrico di Pollack, passando per A piedi nudi nel parco.

Che cos’è un divismo come il loro nell’era di Internet e dei social network? Come fanno a resistere con i loro corpi magnifici alle mutazioni dei gusti, costumi, linguaggi dei tempi? E’ come se il mondo post YouTube abbia ricreato un nuovo, fortissimo, immaginario collettivo, dove tutto è certo “ripescabile” ma tuttavia qualcosa, qualcuno, riesce ad emergere con forza dalle grinfie del passato. E’ come se questi due attori riuscissero a catturare attorno a se una sorta di

redford 4“aura giovanile”, qualcosa che gli conferisce comunque un aspetto, un senso, un discorso narrativo, che riesce a passare da una generazione all’altra. Non è un problema di pura apparenza, ma di empatia culturale

Eppure Redford sono anni che interpreta dei personaggi “anziani” e in Our Souls at Night questa vecchiaia solitaria viene data come assodata, sin dalle prime inquadrature. Ed eccoci, finalmente, al film vero e proprio, che sembra arrivare da un mondo parallelo, quasi una finestra di fronte, o accanto, dove i nostri vicini si parlano… Redford è Louis Waters, un anziano ex professore vedovo che vive da solo, mentre Jane Fonda è Addie Moore, la sua vicina di casa, stessa generazione e vedova anche lei. Il film parte sfrontato e senza troppi fronzoli. Louis sta passando la sua consueta tranquilla serata in casa tra parole crociate e televisione quando la vicina bussa alla porta, e chiede di parlargli. La richiesta è sorprendente: dormire assieme per sconfiggere la durezza delle notti, parlando.

Louis è sorpreso, si prende un giorno per pensarci, ma poi chiama la vicina, ed inizia questa curiosa relazione di letto, fatta di due esseri che scelgono di stare vicini, come se le due solitudini messe insieme nell’atto del riposare potessero combattere meglio l’angoscia che ogni essere umano si porta dietro, con il passare degli anni. Quella della morte, ovviamente.

Tutto Our Souls at Night sembra infatti essere una sorta di celebrazione della resistenza vitale alla morte. Che cos’è la vita, in fondo? “vivere la propria giornata e raccontarla la sera” a qualcuno…

Il film di Ritesh Batra non eccede da nessuna parte, e dove sfiora il dramma (il rapporto con i figli, i nipoti), sempre si ricompone in una saggezza della vecchiaia che come un’ombra aleggia per tutta la storia.

Storia che è fatta di un presente solitario, ma soprattutto di un passato di errori, di scelte sbagliate, di dolori provocati agli altri e a se stessi. E’ possibile in vecchiaia recuperare e farsi perdonare gli errori di gioventù? Nessuno dei due figli dei protagonisti sembra troppo propenso ad accettare questa filosofia, come se inevitabilmente le giovani generazioni dovessero “praticare l’errore”, coltivare lo sbaglio, per poi dolersene in età matura. Batra sceglie il ritmo giusto, le location adatte (il letto, la casa, la gita in montagna e poi in città) i partner perfetti (il nipote e il cane in primis), per un film che sembra adattarsi al corpo dello spettatore come una calda coperta in una fredda notte d’inverno.

Forse il personaggio di Robert Redford è un po’ troppo lo stesso di tanti film, belli, meno belli e magnifici, che ha interpretato in questi ultimi anni… eppure non riusciamo a non pensare al protagonista di All Is Lost – Tutto è perduto… salvato dalla morte nell’ultima inquadratura, potrebbe essere ritornato alla vita, per un’ultima, meravigliosa e definitiva passione d’amore.

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