I membri della neonata commissione per la selezione del film italiano agli Oscar di quest'anno hanno le idee molto chiare e replicano immediatamente alle polemiche di alcuni registi, tra i quali Roberto Faenza, che avevano aspramente criticato la composizione della commissione, formata prevalentemente da produttori, denunciandone favoritismi e pesanti conflitti di interessi.
"Qui non si tratta di giudicare se il film è bello, ma piuttosto se ce la può fare sul mercato americano. La corsa alla statuetta è costosissima. Ci vogliono almeno 200mila euro per dare visibilità al film, per cui si deve stare attenti su quale puntare". Queste le parole rese a L'Unità da Riccardo Tozzi della Cattleya. Gli fa eco Andrea Occhipinti della Lucky Red, anch'egli in commissione: "Selezionare un film che possa farcela. Puntare cioè su un cavallo in grado di correre. Il che significa avere una distribuzione negli Usa, sapere se il film uscirà nelle sale".
I produttori ammettono quindi che si applicheranno criteri di scelta legati alla vendibilità del prodotto sul mercato statunitense, e quindi mondiale. Criteri però non richiesti dall'Academy, che nella sua lunga storia ha spesso premiato nella categoria dei film stranieri pellicole non di cassetta e di elevata qualità artistica; basti citare i premi assegnati in passato a Bergman, Kurosawa, Bunuel, fino ai nostri Fellini, De Sica e Petri, e, di recente, a Mikhalkov, Szabó, Tanovic. Non sarà allora che il valore commerciale dei nostri film sia l'unico oggi spendibile? (e.b.)

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