“Come lo sai”, di James L. Brooks
Ormai 71enne, James L. Brooks continua a interrogarsi sul linguaggio parlato dagli esseri umani, e sul tentativo di giungere in qualche modo ad un sistema di segni comune per poter riuscire a dirci qualcosa (l’amore?). Questo Come lo sai è un film pazzescamente “presente”, a noi, a se stesso, al tempo che occupiamo, allo spazio che lasciamo vuoto. Un film zeppo di parole di troppo in cui dicono molto di più i primi piani strettissimi sul volto smussato di Reese Witherspoon
A 7 anni di distanza dall’ultima regia, il meraviglioso e ottusamente dimenticato Spanglish, James L. Brooks oramai 71enne continua a interrogarsi sul linguaggio parlato dagli esseri umani, e sul tentativo di giungere in qualche modo ad un sistema di segni comune per poter riuscire a dirci qualcosa (l’amore?).
Questo Come lo sai è un film pazzescamente “presente”, a noi, a se stesso, al tempo che occupiamo, allo spazio che lasciamo vuoto. Il tempo è quello di un cinema che vuole restituirci la velocità e la frammentarietà della vita e dei rapporti contemporanei, e allora cerca in ogni modo di agganciarsi ad un ritmo e ad uno stile di dialogo figli della commedia sentimentale di oggi, cinematografica e televisiva, sboccata e diretta. Ma lo fa al contempo sforzandosi di non piegarsi ad un ritmo visivo e di montaggio che comunque non gli apparterrebbe: ne viene fuori così uno straniante cortocircuito tra la velocità dell’immagine e quella della parola, che raggiunge l’apice nella conversazione/confessione tra Paul Rudd, volto apatowiano addolcito, e Jack Nicholson costretto per farsi ascoltare a rinunciare a fare Jack Nicholson (“è difficile non urlare”).
E’ un film zeppo di parole di troppo, questo: di dialoghi dell’assurdo su temi minimi, di personaggi che continuano a compiacersi di quanto hanno appena pronunciato, di altri che sbagliano costantemente le cose da dire, o vengono puntualmente interrotti sul più bello. Eppure per James L. Brooks dice molto di più uno qualunque dei tre-quattro preziosissimi primi piani strettissimi sul volto smussato di Reese Witherspoon disseminati lungo il film: lei, di abissale bravura, regge lo spazio di un’inquadratura lunga meglio di tutto il resto del cast.
Gli spazi, appunto. Sin dalla superba sequenza in cui Owen Wilson si allontana camminando all’indietro dalla Witherspoon, davanti all’entrata del lussuoso hotel in cui lui vive, per lasciarle “lo spazio per decidere se salire o meno in camera”, Brooks giocherà una partita di gran classe per tutto il film con le traiettorie e gli spazi lasciati tra un corpo e l’altro (non è un caso forse se due dei tre protagonisti sono dei giocatori professionisti di baseball, gioco in cui sta tutto nel tenere la propria posizione e rispondere a distanza ai colpi degli avversari): come nella sequenza in cui Reese e Paul Rudd sono al cellulare ma si trovano lui affacciato alla finestra della sua casa al primo piano e lei subito sotto la finestra, per strada, facendo finta
Il silenzio alla fermata di un autobus diventa allora l’unico spazio possibile in cui fermare il tempo per la fine di questa storia: un punto in cui mettersi in pausa, in attesa del prossimo passaggio.
Titolo originale: How Do You Know
Regia: James L. Brooks
Interpreti: Reese Witherspoon, Jack Nicholson, Paul Rudd, Owen Wilson, Kathryn Hahn
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia (2011)
Durata: 121'
Origine: USA, 2010