"Il futuro", di Alicia Scherson
Con il suo Il futuro la regista cilena prova a creare una nuova Roma, una città crepuscolare e multicromatica allo stesso tempo, in cui il centro storico di Fellini convive con le ex-borgate di Pasolini, un'Urbe apocalittica dove i due giovani protagonisti, gli indolenti, pigri e svogliati orfani Bianca e Tomàs più che vivere la loro storia, la subiscono inermi.
Nell’ultima stagione cinematografica Roma ha avuto molti volti. Dalla capitale cafonal di un impero decadente alla viva periferia umana intorno al GRA, passando per la cupa e chandleriana metropoli dell'ultimo, ottimo, Marco Risi, la città eterna si è sempre prestata al gioco, mettendo in mostra rughe e cicatrici. A questi ritratti oggi si aggiunge quello di Alicia Scherson, marziano cileno a Roma, arrivata nel nostro paese attraverso le visioni di Un romanzetto canaglia, piccolo capolavoro del (da noi) sconosciuto Roberto Bolaño. Con il suo Il futuro la regista, prova a creare una nuova Roma, una città crepuscolare e colorata allo stesso tempo, in cui il centro storico di Fellini convive con l'ex-borgate di Pasolini (chiari riferimenti anche per Bolaño), un'Urbe vuota, apocalittica, dove i due giovani protagonisti, gli orfani Bianca e Tomàs, si muovono stancamente. I due ragazzi, infatti, prima osservano immobili l'invasione della loro vita da parte di due ambigui delinquenti (Nicolas Vaporidis e Alessandro Giallocosta), poi si trascinano, fino alla fine, senza mai un gesto di ribellione o una reazione. Indolenti, pigri e svogliati (se diamo retta ai luoghi comuni, allora davver romani al cento per cento) i protagonisti più che vivere la loro storia, la subiscono. La loro esistenza, e quella della loro città, più che proiettata verso "Il futuro" sembra diretta verso un infinito e ripetitivo nulla (altro che i tanti futuri possibili nicoliniani). Forse schiacciata dal peso del confronto con Bolaño, la regista non riesce mai a tirare fuori i suoi personaggi e il suo film fuori da questa stanca e piatta palude narrativa che annichilisce il fascino delle immagini (ottima l'umida fotografia di Ricardo DeAngelis) o le suggestioni di alcuni monologhi. Solo il massiccio Maciste di Rutger Hauer rompe le catene della staticità. Ex divo di Cinecittà e Mister Universo, come il suo personaggio, l'attore olandese si dimostra ancora una volta un uomo “come non c’è né nessun altro in tutto l'universo”. Stoico nella sua assurda ostinazione a voler a tutti i costi partecipare ancora a questi progetti italiani (anche se, siamo onesti, il film della Schenson non è paragonabile ai surreali Barbarossa e Dracula 3D), commuove la sua dedizione al lavoro, il suo impegno a nobilitare, solo con la sua magnetica presenza ogni scena, ogni spazio.
Titolo originale: Id.
Interpreti: Nicolas Vaporidis, Manuela Martelli, Luigi Ciardo, Rutger Hauer, Alessandro Giallocosta
Origine: Italia, Cile, Germania, 2012
Distribuzione: Movimento Film
Durata: 94’