Amate sponde di Egidio Eronico

Guidato dalle musiche di Vittorio Cosma, il regista parte per un viaggio audiovisivo per l’Italia, che ha i suoi momenti di forza quando il montaggio non impone uno schema asfissiante ai frammenti.

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Sembra cominciare nel pieno di una genesi Amate sponde, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle. Ci sono lande desolate e grigie, con qualche sparuta montagnola di terra dalla quale sgorga dell’acqua termale. Ci sono dei vulcani irrequieti e dei meno frettolosi lapilli che rotolano sui loro pendii. Non siamo, però, in un film di Terence Malick, non siamo davanti all’infanzia del mondo e nessuno ci sussurrerà criptiche e poetiche frasi all’orecchio. Il posto lasciato vuoto dalle parole in questo viaggio audiovisivo attraverso l’Italia sarà riempito dalle immagini girate da Egidio Eronico (qui la nostra intervista esclusiva) accompagnate dalla musica di Vittorio Cosma, oltre che dalla nostra mente.

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Quando uno stacco ci porta da immagini apparentemente primigenie ci porta a un uomo seduto in riva a un fiume, con un immenso fabbricato industriale sullo sfondo, nessuna voce interviene, tantomeno quella dell’uomo. La musica disegna dei cerchi forse più ispirati dalle tracce di Philip Glass che alle increspature dell’acqua dopo il tuffo dell’esca gettata dall’uomo e il fumo della ciminiera si alza in cielo. Come inserirsi nel ballo intimo tra immagini e musica di Amate sponde dipende dallo spettatore: una volta accertata la voglia di danzare, lo farà con passi sicuri e consueti o si abbandonerà agli istinti delle membra?

C’è, infatti, un che di convenzionale nel posizionamento dei tasselli del mosaico, nell’associazione di mari, fabbriche, montagne, laboratori e spiaggie. Quanto più la tessitura di Amate sponde sembra rimandare a un’immagine mentale definita, più sembrano perdere l’effetto di verità i suoi frammenti e le sue note. Il montaggio alternato di una preghiera mussulmana, una processione cristiana e un rituale dei Mammuthones sardi incatena queste immagini in uno schema asfissiante se comparato con lo stesso rituale affiancato a una catena di montaggio che trasporta centinaia di mele al secondo.

Eppure, ci sono momenti nei quali i simboli si allontanano dalle loro posizioni, nei quali la voce nascosta tra le pieghe del montaggio si silenzia e tagliare non sembra più un atto umano, ma la reazione meccanica al puro ritmo. Sono questi i passaggi in cui Amate sponde appare più libero, quando taglia fuori la mente e il film comincia la sua narrazione corporale, consegnandolo a un’esclusiva relazione col corpo. Dalle giunture che ormai danzano fuori controllo nascono scintille: che tipo di fuoco avvamperà?

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
4.6 (5 voti)
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