Aspettando Vice: Anchorman, il dittico profetico di Adam McKay

Il dittico di Anchorman sembra anticipare l’epoca di Trump, delle fake news e del #MeToo. Adam McKay poneva già le basi per i suoi film futuri più apertamente politici, come Big Short e Vice

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Con il suo film d’esordio Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy del 2004, Adam McKay porta sul grande schermo una commedia brillante, assurda, fuori dalle righe con un cast di prim’ordine. Ma ciò che più colpisce di questo film è il fatto abbia molte intuizioni che precedono i tempi. McKay non solo riesce a parlare della società contemporanea ambientando un film nel passato, ma realizza un film che sembra avere più cose da dire oggi dell’anno in cui è uscito. La cosa si ripete in Anchorman 2 – Fotti la notizia, uscito nove anni dopo il primo.

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Ron Burgundy (Will Ferrell) è un presentatore televisivo di un notiziario di San Diego. Lui e il suo gruppo di colleghi-amici si occupano di tutti i servizi del notiziario. Anchorman mette in scena una società maschilista in cui il ruolo della donna è limitato e subordinato a quello dell’uomo. Quando arriverà il momento di cambiare le cose, sarà una donna a ricoprire un ruolo importante, e sarà oggetto dello scherno e delle avances dei colleghi che non la vedono altro che come un’intrusa, non all’altezza dei suoi colleghi. Tutto ciò è filtrato attraverso i meccanismi della commedia demenziale, ma ciò che all’apparenza serve solo a generare gag comiche si rivela essere più che mai attuale. Oggi, dopo il caso Weinstein e altre vicende simili, il tema della condizione della donna in ambito lavorativo è diventato di interesse primario. Pur essendo ambientato negli anni ’70, il dittico di Anchorman sembra parlare agli spettatori di oggi, agli spettatori che hanno assistito al movimento del #MeToo e al Time’s Up.

Il notiziario di Ron Burgundy non propone servizi seri, di argomento politico, non è socialmente impegnato. Il notiziario di Ron Burgundy si occupa di cani, gatti, conigli e animali di ogni sorta di animale, di cuccioli e altri contenuti di bassa qualità. Il personaggio di Brian Fantana nel secondo film diventa proprio un fotografo di gatti. Questo modo di comunicare che fa leva sulle pulsioni basse dello spettatore sembra presagire quello che sarebbe stata l’epoca attuale. Dopo più di dieci anni dall’uscita di Anchorman, la società digitalizzata di oggi sembra ipnotizzata da questo tipo di contenuti. Cani, gatti, cuccioli, meme e altri contenuti evanescenti sono ormai all’ordine del giorno, piacciono, hanno successo, vengono condivisi e diffusi. Ma ciò che forse fa più paura è che questo modo di comunicare è ormai accettato e utilizzato anche in ambito politico. La politica di Donald Trump e di altri governi nel mondo ne è l’esempio più lampante. In Anchorman 2 Ron Burgundy si chiede “Perché dobbiamo dire al pubblico ciò che deve sentire? Perché non possiamo dirgli ciò che vuole sentire!?”. Ebbene, dare (o dare) al pubblico ciò che vuole non solo è diventato un fenomeno accettato, ma sembra addirittura essere diventato legge.

La comunicazione di basso livello dilaga e degenera nella pratica delle fake news. Nell’epoca dei social network tutto deve essere immediato. In questa prospettiva il vecchio modo di fare politica non trova spazio, risulta distante, pesante, noioso. Oggi tutto deve essere a portata di mano, anche le dichiarazioni dei politici. E pare che più un politico abbassa il suo linguaggio, più ottiene consensi. Il successo negli ultimi anni di molti governi, specialmente di destra, deriva in gran parte da questo. La prossimità digitale fa apparire le cose più vicine e più semplici. Le persone si sentono coinvolte in prima persona e ad appiattirsi non è solo il linguaggio, ma anche il contenuto. In Anchorman 2 Ron Burgundy vince la scommessa contro il collega proponendo al pubblico quello che il pubblico vuole, ovvero delle notizie leggere, poco impegnative, magari un bell’inseguimento della polizia in diretta. Anche quest’idea della diretta continua, dell’essere costantemente connessi e informati, è un’ossessione degli ultimi anni che McKay sembra aver intuito in anticipo. In questa società della trasparenza il dibattito politico si sposta sui social network. Così il consenso non si ottiene più attraverso le idee, bensì attraverso il modo di comunicare e utilizzare i social.

Alla luce di tutto ciò, Anchorman sembra più che una semplice commedia. Forse è una dichiarazione di intenti in cui il regista pone già le basi per i suoi film futuri più apertamente politici, come La grande scommessa e Vice. Nel personaggio di Ron Burgundy, nel suo comportamento, nelle sue parole, si può intravedere lo spettro dell’America di Donald Trump. Un uomo che si trova in una posizione di potere e che può permettersi di dire ciò che vuole. Il cinema di Adam McKay punta il dito contro le crepe della società americana, mettendo a nudo tutti i suoi difetti, i suoi vizi. E proprio in attesa di Vice, in uscita il 3 gennaio 2019 e già candidato a 6 Golden Globe, il rewatch dei due Anchorman può rivelarsi una scelta perfetta.

 

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