BERGAMO FILM MEETING 26 – Delirious Francis

Dopo mezzanotte la sala dell’Auditorium di Piazza della Libertà di Bergamo è diventata, nelle notti di Festival, il covo di mostri, vampiri, zombies, esseri da un altro mondo, sangue, delitti ed omicidi. Ad un anno dalla sua scomparsa, il Film Meeting ha offerto la ghiotta opportunità di rispolverare i capolavori horror ad episodi diretti da quello che poi sarebbe diventato il grande direttore della fotografia di Elephant Man. A Bergamo, la notte è di Freddie Francis.

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“E’ un chirurgo eccezionale.
Ha una tecnica tutta sua.”

Robert Hutton in Torture Garden (1)

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L’episodio più bello di tutti Freddie Francis lo diresse per Le cinque chiavi del terrore (Dr Terror’s House of Horrors, 1965), primo esempio di horror a episodi (e il più ‘classico’, col suo repertorio di vampiri, lupi mannari, piante carnivore, riti voodoo) tenuti insieme da una labile cornice narrativa (qui si tratta di uno sconosciuto che predice il futuro con i tarocchi dei cinque altri passeggeri di uno scompartimento ferroviario, altrove sarà il crypt keeper che intrattiene i quattro visitatori delle cripte raccontando la loro sorte, poi il curatore di una mostra di strumenti di tortura chiamato Dottor Diabolo capace di usare uno strumento che di nuovo indaga nell’oscuro futuro di cinque avventori, infine nel bellissimo Delirious la visita al manicomio del dottor Nicholas a cui vengono narrate le vicende di quattro internati) che faranno la fortuna del Freddie Francis regista e della piccola casa di produzione che glieli commissionava, l’inglese Amicus (il Francis direttore della fotografia deve invece la sua – più nota – celebrità come si ricorderà ai film di Jack Clayton – Room at the Top, Suspence, di Karel Reisz – Sabato Sera Domenica Mattina, Night Must Fall, La Donna del Tenente Francese, e di David Lynch – Elephant Man, Dune, Una Storia Vera, dei quali fu il sempre formidabile cinematographer – senza scordarsi il suo magnifico lavoro per il Cape Fear scorsesiano). Parliamo del ‘frammento’ con Christopher Lee nei panni del critico d’arte che finisce contro un albero con la propria automobile (2). Lee non muore, viene soccorso da un’ambulanza, ma gli infermieri si dicono l’un l’altro, portandolo via in barella: “Sopravviverà, ma resterà cieco. Per uno che fa il suo mestiere forse sarebbe stato meglio essere morto”.

In un altro horror a episodi di Francis, probabilmente il più famoso, I racconti della cripta (Tales of the Crypt, 1972), e che sicuramente resta anche il più teorico del lotto (c’è un episodio con atmosfere davvero da free cinema – (3)), troviamo invece la storia del signor Maitland. L’episodio si chiama, meravigliosamente, Reflection of Death. Maitland lascia moglie e figli per partire di notte con l’amante, ma i due hanno un terribile incidente automobilistico. Maitland sopravvive, e cerca di tornare a casa a piedi nell’oscurità. Tutta la seconda parte dell’episodio è girata in una lunga, allucinata, strepitosa soggettiva di Maitland, sino a quando l’uomo non si specchia e non si rende conto di essere già morto e in fase di rigor mortis.

Il messaggio di Freddie Francis appare allora chiaro: Christopher Lee ne Le cinque chiavi del terrore sopravvive, ma irrimediabilmente accecato – come dicono gli infermieri, sarebbe stato meglio se fosse morto. Maitland infatti muore, e proprio nel momento in cui si trova ‘dall’altra parte’, riesce a vedere – la soggettiva, il suo ritorno dalla moglie che reagisce terrorizzata…

Le orbite negli occhi dei personaggi di Freddie Francis sono spesso nere, ma è proprio allora che ad essi, e a noi spettatori, è dato di vedere. Non sarà dunque un caso che nel magnifico (sicuramente la più violenta, genialoide ed esplicita delle opere a episodi di Francis) Delirious: il baratro della follia (Tales that witness Madness, 1973) l’unica soggettiva di tutto il film sia quella di un oggetto proveniente da un altro mondo (riprendendo in un certo senso un racconto analogo contenuto nel film più debole della serie, Torture Garden del 1967 – (4)). Il tronco a cui il marito di Joan Collins dà un aspetto antropomorfico, trasformandolo a suon di potature in una donna procace con un volto dalle fattezze chiaramente vaginali piazzato al centro del salone della loro casa, è il veicolo attraverso il quale vediamo l’assassinio della donna, colpevole di essere troppo gelosa della pianta, da parte del terrificante mostro vegetale dai lunghi rami come braccia che stritolano. E’ una soggettiva grandiosa che introduce un segmento onirico in cui una mai così irresistibile Joan Collins corre in un bosco di notte attaccata dai rami di tutti gli alberi che la sovrastano e le strappano i vestiti di dosso, mettendone in mostra il seno per la gioia di tutti gli spettatori dell’epoca (e quasi quindici anni prima di Sam Raimi…). Finalmente, l’uomo potrà portarsi a letto il tronco, assegnandogli il posto nel giaciglio coniugale che sino al giorno prima era stato della moglie.

Ecco che a ‘vincere’, sono sempre le cose morte: i defunti che ritornano, i mostri, le creature di un altro mondo, gli oggetti inanimati che prendono vita – e infatti Francis sembra chiaramente convinto che ci sia più vita, luce e vitalità in questi esseri, che nelle coppie borghesi ed ipocrite di cui i suoi emissari dall’al di là hanno ragione. Per questo le soggettive passano solo attraverso quei personaggi: per rendere più chiara l’inappellabile condanna che fa sì che in Tales from the Crypt un Babbo Natale maniaco omicida abbia la meglio su Joan Collins che la notte della vigilia ha ucciso il marito per intascarsi i soldi dell’assicurazione – mentre il piccolo del primo episodio di Delirious aizza la sua tigre assassina ‘immaginaria’ contro i genitori che lo tengono isolato dal mondo preferendo un educatore personale al mandarlo a scuola (schizzi del sangue di mamma e papà finiranno sul pavimento e sul muro dietro il bambino che tranquillo suona il suo pianofortino giocattolo).

E mai sarà Francis più esplicito, della punizione architettata dagli ospiti dell’Istituto gestito dal Maggiore Rogers di Tales from the Crypt per vendicarsi della vita di stenti, fame e sofferenze che il direttore fa loro subire, mentre continua personalmente a vivere nell’agio e nel lusso. Il pastore tedesco, amato cagnone del Maggiore che spesso lo lasciava ringhiare contro gli ospiti dell’istituto, rinchiuso e lasciato a patire la fame per giorni, viene poi lanciato in tutta la sua ferocia contro l’odore del sangue del direttore, ferito in più punti dalle lamette di rasoio che spuntano dallo strettissimo corridoio che viene costretto ad attraversare, senza riuscire a non tagliarsi. Giustizia è fatta.

Il Maggiore Rogers gestiva un Istituto per Ciechi.

 

 NOTE

(1) Si tratta sicuramente del frammento più delirante girato da Freddie Francis: la giovane attrice Carla Hayes scopre che i divi di Hollywood riescono a calcare le scene per interi decenni senza sembrare mai invecchiare in viso solo ricorrendo alla surreale tecnica di un chirurgo sperimentale che inserisce loro delle lastre di lamiera sotto lo strato di carne. L’intuizione le arriva quando un attore viene colpito da un letale proiettile dritto in fronte, e un suo compare la tranquillizza: “non è grave, è una ferita da nulla. Il dottore lo guarirà in un attimo!”

(2) Frank Marsh è perseguitato dalla mano mozzata di un pittore che aveva stroncato e di cui aveva causato il suicidio, investendolo con l’auto per vendetta dopo un pessimo tiro giocatogli dall’artista che lo aveva persuaso a scambiare pubblicamente per grandi opere d’arte gli esperimenti di una scimmia pittrice, minando irreparabilmente la sua credibilità di studioso. Il pittore dopo l’incidente perde l’uso della mano, amputatagli dai medici, e con essa la possibilità di dipingere, e la gioia di vivere. Si spara un colpo in testa, ma la sua mano non muore con lui, anzi torna più e più volte ad attaccare il povero critico d’arte. Sino a quando non riesce a farlo finire con l’auto contro un albero.

(3) Il terrificante ritorno dalla tomba del povero spazzino solitario portato ad uccidersi dalle maldicenze dall’annoiato e spietato rampollo altolocato del palazzo dall’altro lato della strada, che aveva insinuato crudeltà assurde riguardo all’abitudine dei bambini del quartiere di andare a giocare a casa dello ‘sporco netturbino’, che in versione zombie gli strapperà via il cuore.

(4) In cui è rimarchevole giusto l’episodio finale, una chiara dichiarazione della paternità del ‘genere’ spettante a Roger Corman, in cui Jack Palance scova Edgar Allan Poe ancora vivo perchè resosi immortale grazie alla sua conoscenza dell’occulto, intento a scrivere sequels delle sue opere più celebri nello scantinato della casa-museo di un fanatico collezionista di cimeli poeiani. L’episodio che invece sembra anticipare quello contenuto in Delirious ha come protagonista un pianoforte ‘posseduto’ dall’anima della madre morta di un famoso pianista che rende difficile la vita della sua spasimante, colpevole di distrarlo dagli esercizi al piano.

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