Blog NET NEUTRALITY – C’era un francese, un americano e… Berlusconi

All’età di 86 anni arriva all’ultimo atto il personaggio politico ed imprenditoriale più discusso, ingombrante e controverso del panorama nazionale dagli anni ’80 ad oggi

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Ad Apricena, provincia di Foggia, viene dedicata la prima strada nazionale a Silvio Berlusconi, già Via Modena, così appena defunto spodesta con un’iperbole la rossa città emiliana per non smentirsi anche dall’aldilà. In fondo, Silvio Berlusconi è stato proprio questo: una simpatica canaglia, un carismatico populista sfrontato che un giorno sorridendo ai disperati cassintegrati Fiat in Sicilia, consigliò loro un secondo lavoro in nero. Con quel sorrisetto, marchio di fabbrica, c’era appunto da chiedersi, se avesse riso con loro, complice, o se avesse riso di loro. “Solo Napoleone ha fatto di più…”, Berlusconi si è sempre considerato uno dei grandi della storia mondiale e il massimo benefattore degli italiani. Peccato, che alle parole sinceramente non sono mai seguiti i fatti, anzi, se si esclude il calcio al Milan e la “mediacrazia” dell’intrattenimento, l’azienda Italia non ha certamente conosciuto tutti questi vantati benefici. Poi ti accorgi dal labiale in chiesa, durante l’ultimo atto funerario, in cui il secondogenito Pier Silvio sussurra, tra gli scanni, alla sorella Marina che il papà in fondo le ha voluto bene. Perché non le avrebbe voluto? E perché bisognava ribadirlo? Marina annuisce e ci si chiede ancora una volta se quel gesto è per perdonare eventuali mancanze paterne o per favorire consenso al fratello e alle immancabili telecamere. Ecco che le differenze tra realtà e percezione si cancellano inesorabilmente. Ai candidati del suo partito diceva che non dovevano mai avere l’alito cattivo o le mani sudate e si considerava il principe azzurro perché era stato capace di trasformare le zucche (a volte rospi…) in onorevoli. Ha cavalcato per tutta la sua esistenza l’onda dello spot, aspettando la battuta perfetta, consigliando per l’acquisto il sentimento, o coito, indifferentemente e spudoratamente interrotto, da Arcore a Palazzo Grazioli, dal lettone di Putin ai materassi di Mastrota.

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Ha trasformato l’Italia negli ultimi quaranta anni nel salotto di casa Vianello, in un clima non propriamente di festa, diciamo più di disimpegno totale. A provocarlo, e nello stesso tempo a raccontarlo, è stata la televisione. Alla televisione appartengono i sogni di almeno due generazioni in contrasto. La prima si può immaginare parta dal profondo Sud per diventare, oltre che un solerte funzionario della Rai, l’apostolo della missione educativa intrapresa (e fallita) dalla tv pubblica tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la seconda si ribella al suo modello pedagogico per aderire anima e corpo alla televisione commerciale dei decenni successivi, diventando dapprima venditrice di “consigli per gli acquisti”, e poi addirittura consigliere dello stesso Berlusconi. Dalla zucca all’onorevole, appunto. Attraverso il conflitto generazionale tra il qualunquismo euforico dell’una e l’ideologia ipocrita dell’altra, si rivela la ridicola tragedia di un paese che, dopo essersi nascosto per anni sotto la maschera grigia di un perbenismo borghese, cerca ora rifugio dietro il cerone di un capo del governo che “vuole solo piacere”. Ognuno, in questa apocalittica ed esilarante rivoluzione generazionale, vuole solo piacere. Ma che si insegua il consenso attraverso una dignitosa serietà o attraverso il riso dionisiaco, folle e disperata sarà la missione, e destinata a rivelare l’irredimibile solitudine dell’essere uomo. L’era berlusconiana sarà solo ricordata o seguirà ad essa anche il rimpianto? Rimpiangere è un sentimento ininterrotto, che non si placa negli anni e ti identifica come persona nello spirito e ti segna nel corpo. I paninari sono un ricordo, magari piacevole, non certamente un rimpianto. Anche Mussolini è rimpianto, fortunatamente oggi da una piccola minoranza, ma Berlusconi “rischia” di non ricevere lo stesso trattamento neanche dai più irriducibili, perché ha fatto delle sue contraddizioni sulla dottrina liberale le armi paradossalmente più incisive in vita, ma al contempo potrebbero rappresentare in morte la vulnerabilità sull’identificazione collettiva, proprio per la sua indiscutibile incoerenza di pensiero.

Il suo potere di sdoganamento, la capacità di rendere tutto possibile e moralmente accettabile agli occhi del popolo, avrà un importante peso sulla compromissione del rimpianto. L’era berlusconiana sarà ricordata invece come l’era vissuta all’interno di un costante processo politico, intervallato dal “drive in” di turno, a creare il clima di opinione di massa, lo stesso clima che ha declinato e dominato gli ultimi 40 anni politici e parlamentari. Più che di rimpianto ci sarebbe da discutere sull’eredità culturale lasciata dal Cavaliere. L’eredità dell’inseguimento, per tutta la vita si è fatto inseguire, dalla Rai, dagli avversari politici, dai processi, dalle condanne, dal successo, dalla glorificazione, dalla beatificazione. Un “Prova a prendermi” eterno. Intendiamoci, Silvio Berlusconi non ha inventato niente, ha adattato, tradotto in italiano un pezzo di americanizzazione sul disimpegno, il riflusso, sull’arricchimento privato, in risposta agli anni ’70, quelli di piombo e di contestazioni sociali. Il “multiverso” berlusconiano ha trovato terreno fertile attraverso le nuove scenografie, le coreografie, i colori, ad accompagnare e sposare il sopraggiunto neoliberismo economico. Ma la mente liberale è scettica e curiosa, generosa, impegnata: è egualitaria senza essere egualitarista, purché la ricchezza non diventi un modo per acquistare potere, ma si limiti a comprare ciò che può essere comprato, evitando di prelevare parlamentari o minorenni. Per comprendere quanto Silvio Berlusconi fosse estraneo alla reale e credibile dottrina liberale, sarebbe opportuno leggere “Socialismo liberale” di Carlo Rosselli del 1930, stampato e pubblicato in Francia perché in fuga dalla persecuzione fascista. In eredità resta senza dubbio quel diabolico e indefinibile sorrisetto sospetto: il giorno seguente la dipartita Gesù, dopo un lungo colloquio con Silvio gli confessa, poggiando un braccio sulla spalla, di apprezzare molto l’idea di trasformare il Paradiso in una società per azioni e di quotarla in borsa. L’unica cosa però che non riesce proprio a capire è il motivo per cui Lui dovrebbe fare il vice presidente…

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