Blog NET NEUTRALITY – Dr John, i morti non muoiono!

Il genio include luoghi lontani, la sua scienza è problematicamente comunicabile, le sue note si perdono in questa discontinuità. In ricordo di Dr John, nel giorno in cui su Netflix arriva Bob Dylan

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Malcolm John “Mac” Rebennack, Jr, alias Dr John, ci lascia a 77 anni, forse 78, anche perché pure la sua data di nascita sembrerebbe un mistero. Quando penso a Dr John, stranamente, o forse poi non così stranamente, non immagino il suo mondo meticcio, cool, la new wave di New Orleans, l’influenza su Frank Zappa, Van Morrison, Johnny Winter, Rolling Stones, non immagino jazz, blues, ragtime, psichedelia, dixieland, skiffle, soul, cajun, non immagino i riti voodoo, l’animismo, lo spiritismo, o meglio, immagino tutto insieme, fino a ritrovarsi in un racconto di Hamlin Garland. Un racconto lungo il Mississippi, girovagando per le strade vicino al porto o dietro Bourbon Street, componendo il sentimento più nobile: l’amore per la musica, per il suono in grado di trasformare una desolata prateria nel più romantico e caotico dei paradisi. La notte, quando le stelle dimostrano di non dover temere la concorrenza dell’elettricità, è più facile sopportare il peso di milioni di bocche da sfamare.

I morti non muoiono, lo pensa Jim Jarmusch, e probabilmente anche Martin Scorsese, che nel 1978 lasciava uscire il suo documentario The Last Waltz, sull’ultimo concerto della band alla Winterland Ballroom di San Francisco nel 1976; presero parte all’evento numerosi ospiti del calibro di Eric Clapton, Bob Dylan, Ringo Starr, Neil Young, Joni Mitchell, Van Morrison, Muddy Waters, Paul Butterfield, Ronnie Wood, Neil Diamond, Bobby Charles, Dr. John, Emmylou Harris, Ronnie Hawkins, e gli Staple Singers; tutti diretti dal produttore discografico della band, John Simon. Una delle più grandi pellicole concerto mai realizzate. Proprio in attesa di Rolling Thunder Revue, il doc di Scorsese su Bob Dylan, disponibile su Netflix da oggi, 12 giugno. Il regista racconta il leggendario tour del 1975-’76 usando materiale video abbandonato per decenni, ora restaurato. Racconta Joan Baez, Rubin “Hurricane” Carter, Sam Shepard, Allen Ginsberg e regala la prima intervista video di Bob Dylan in un decennio. Nel culmine della sua carriera, un grande varietà musicale itinerante, che mi piace pensare, ancora una volta, per certi versi, debitore degli spettacoli pirotecnici e totalmente folli di Dr John, che già negli anni ’60 scorrazzava sui palchi con voce spigolosa, anelli sciamanici, teschi e sonorità lisergiche quanto liturgiche.

La sua musica è scheggiata, ma questa frantumazione non impedisce il movimento. È davvero uno strano e incontenibile mostro Dr John: il genio include luoghi lontani, la sua scienza è problematicamente comunicabile; nessuna sollecitudine diventa tecnica adoperabile, perseguibile; anche le sue note si perdono in questa discontinuità. La viscosità dinamica crea deserti o grumi spirituali; la città è un raro mostro, non colloquia con la sua provincia, bensì la dilata senza fine. E ancora Hamlin Garland: “Lassù, sotto l’inesorabile vastità del cielo, un profondo disgusto della vita stessa si impadronì di lui. Pensava all’infinita tragedia di queste vite che il mondo ama chiamare pacifiche e arcadiche. La sua mente si spinse a ricercare un modo di portare loro aiuto. Cosa poteva fare lui per rendere quella vita un po’ più degna di essere vissuta? Nulla. Essi, in fondo, dovevano vivere e morire…”.

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