Blog NET NEUTRALITY – Gianni Vattimo e quelle domeniche all’oratorio

Ci ha lasciato a ottantasette anni il “debolista” per eccellenza, l’ermeneutico contemporaneo tra i più studiati e apprezzati al mondo, scopritore dell’oltreuomo in alternativa al superuomo

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Credere di credere, credere di vedere, credere di sentire… da ragazzino (mamma sarta e papà poliziotto, morto che lui era neonato) per distoglierlo dalla lettura senza sosta e dalla tendenza ad isolarsi, Gianteresio Vattimo frequentava l’oratorio del suo quartiere torinese, così ha conosciuto il calcio, un prete per chiacchierar, e per vie traverse, Umberto Eco, quattro anni più grande di lui… ecco quel pensiero debole, l’idea che se c’è una razionalità nella realtà, questa razionalità ha da fare con l’indebolimento delle cosiddette strutture forti dell’essere, come la certezza definitiva, il fondamento ultimo, la distinzione rigorosa tra leggi naturali e ciò che è contrario ad esse. La consumazione come filo conduttore nella storia della società occidentale andrebbe di pari passo con il principio dell’incarnazione nel Cristianesimo, cioè l’umiliazione, la discesa di Dio. Cristiano senza “obbedire” al Pontefice, Gianni Vattimo e la sua “Kènosis”, che non riguarda soltanto l’indebolimento, ma riguarda anche la prospettiva di una costruzione del vivere. Postmoderno per il quale qualunque cosa sarebbe ammessa? Niente di più errato nell’etichettare Gianni Vattimo, scomparso pochi giorni fa all’età di 87 anni in un ospedale di Rivoli. Lui che da giovane era soprannominato “capa bianca” in terra di origine calabrese (dove è ritornato a vivere per due anni, quando la casa torinese fu rasa al suolo dai bombardamenti) e terrore nella terra di nascita piemontese. Lui, per il quale il contatto era imprescindibile perché appunto “debole” non è il contrario di “forte”, bensì di violento. E se pure sarà confermato plagio sul testamento (occhio al taccuino di Fidel…), da parte del suo giovane compagno di colore, Simone Caminada, per circonvenzione d’incapace, il coraggio della debolezza non si affievolirà neanche un po’, anzi troverà nuova linfa propulsiva nell’autoironia, mai doma del maestro.

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Filosofo del relativismo? Quanto è sbagliata questa formula? Si potrebbe rispondere ricordando magari la differenza tra scienza e filosofia, riassumibile paragonando le figure di Giordano Bruno e Galileo Galilei. Il secondo, da scienziato, abiura perché non muore per le proprie idee; il primo, da filosofo, invece sceglie di finire sul rogo, perché abiurare significherebbe negare se stessi. La Filosofia quindi non è scienza ma neanche letteratura, perché il letterato non ha bisogno di giustificare il proprio punto di vista e non necessariamente fa uso di argomentazioni. Secolarizzazione e nichilismo sì, senza abbandonare però l’idea della filosofia come ricerca della verità. Ecco che “Lei non sa chi sono io?” viene giù con lo svuotamento, viene giù proprio quella centralità dell’uomo, del pensiero antropocentrico, lasciando spazio all’idea della maschera, della rivelazione. La rivelazione è uno smascheramento. Lo smascheramento riguarda la cosiddetta “maschera buona”, non la maschera che fa finta di essere vera, di essere l’unica verità, ma che sa di essere maschera e continua a danzare. Quest’uomo polifonico, Gianni Vattimo, pone la parola “Dio” come la possibilità buona di una diversa fedeltà alla storia. La fedeltà alla terra, alla tradizione, una fedeltà creativa che ci insegna ad essere attenti alla nostra responsabilità costruttiva per un mondo diverso. D’altronde anche e soprattutto la Chiesa, o qualsiasi altra istituzione dogmatica, quando è in minoranza parla di libertà, quando invece è in maggioranza parla di verità.

Il pensiero debole è troppo bello per essere vero. E non è detto che il vero debba essere sempre brutto. È difficile negare che numerosi fenomeni della modernità occidentale (la terra del tramonto, del declino dell’essere) non si debbano interpretare come diminuzione, riduzione. Anche il progresso è stato perseguito attraverso una serie di indebolimenti, repressioni. Lo stesso soggetto della psicanalisi ha dovuto imparare una serie di repressioni che ha progressivamente costituito il suo inconscio. E lo stesso rapporto sempre più stretto tra scienza e tecnologia, modifica il nostro mondo, nel senso di consumare la nozione di realtà. E’ sempre più complicato, praticamente impossibile, discernere dal naturale e l’accessorio, proprio perché la tecnologia ha invaso totalmente il campo dell’essere e ha provocato un ulteriore indebolimento della differenza tra la sfera oggettiva e soggettiva. E l’arte? L’arte è messa in opera della verità. Può essere storicamente mutevole, proprio perché la verità non è sempre la stessa in tutte le epoche; ci sono delle cesure, dei cambiamenti nell’orizzonte di verità dentro cui siamo. Si può dire d’altronde, che un’opera d’arte sia vera o falsa o solo esclusivamente bella o brutta? Appunto, in questo senso, probabilmente non c’è in assoluto figura più “debole” del critico d’arte (e cinematografico…). Il critico è “al servizio” di messa in opera della verità, verità che prima di essere la descrizione oggettiva di uno stato di cose, è l’apertura di un orizzonte di possibile descrizione di uno stato di cose.

Gianni Vattimo, tra i pochi filosofi nostrani di caratura mondiale, in fondo è stato accusato di portare avanti con il suo pensiero debole una teologia mascherata (ritorna la maschera…) ed effettivamente non si potrebbe negare totalmente tale affermazione, fosse altro perché questa filosofia si è sviluppata nel senso di riconoscere sempre più la propria origine, impronta, ispirazione, cristiana. L’esito della modernità è la dissoluzione della metafisica, per cui ci sarebbe una struttura stabile dell’essere, imponendo un’autorità ultima che non si discute. L’uomo si fa oggetto di un mondo calcolabile e prevedibile, di una società del Grande Fratello. Ecco allora intervenire la teologia e la filosofia, quindi ripresentarsi “il sospetto” e “l’accusa” del pensiero debole in forma di teologia mascherata: la tesi fondamentale che si rivolge innanzitutto alla dissoluzione della metafisica, dell’oggettività, in favore di un mondo dove la verità si fa nel dialogo, nel “conversare”, non semplicemente “comunicare”, delle culture e delle generazioni, è in fondo solo uno sviluppo della dottrina cristiana dell’Incarnazione di Dio. Dio, facendosi uomo, ha consumato la propria trascendenza e ha indicato come via della salvezza quella della consumazione della carne. Il Signore del fulmine e del tuono, si mischia nella storia, per liberare l’uomo dalla paura di fronte alla potenza soverchiante della natura, del Dio “naturale” alla cui volontà ci si piega per lo più senza capirla.

Pertanto è difficile pensare che la Chiesa sopravviva senza dissolversi nel mondo, tant’è che Gianni Vattimo per due volte è sceso in campo, coprendo la carica di parlamentare europeo, la prima tra i Democratici di Sinistra, la seconda con l’Italia dei Valori. Altrimenti, anche la Chiesa si farà complice di quella concezione, di origine positivista, per cui l’essere umano stesso va ridotto ad un meccanismo calcolabile, prevedibile. La razionalizzazione scientifica della società, quella che Adorno definiva “organizzazione totale”, esasperata ulteriormente dall’incontrollato sviluppo tecnologico, ha dovuto fare i conti con un prepotente atto polemico propagatosi nelle Avanguardie artistiche del secolo scorso. Nasce in esse la volontà di partire dall’interno e manifestare fuori, piuttosto che lasciarsi imporre un ordine oggettivo del mondo. Persino il cubismo che sembrerebbe andare in direzione opposta, potrebbe sembrare uno sforzo di rendere di più la formazione dell’oggetto con la pittura, di mostrare come la nostra sensazione visiva delle cose si formi, in realtà è un’aggressione dello spirito all’esterno.

È l’apoteosi della rivolta dello spirito contro le catene della forma, delle convenzioni artistiche ereditate. Così l’arte si fa fonte d’ispirazione per la filosofia nel suo lavoro sul rapporto tra scienze della natura e scienze umanistiche. La debolezza riporta in prima linea altri agognati andamenti, esattamente andature, la lentezza e il saper abitare la distanza, ancora una volta, armi imprescindibili per non perdersi nei cambiamenti repentini di oggi, che ci espongono all’abisso delle metamorfosi. Nel solco dell’ermeneutica contemporanea, Gianni Vattimo ha lottato contro il monolite venuto dall’Odissea nel tempo, perché la realtà sarà sempre complessa e prodotta anche da chi la conosce nell’atto stesso di conoscerla. Pur supponendo che “Dio è morte”, non siamo al cospetto di un relativismo tout court, perché restano costanti le esigenze etiche su ogni interpretazione del mondo. L’oltreuomo, alternativa al superuomo, è un soggetto plurale, che dissolve i suoi punti vista assolutisti nella società della comunicazione di massa (negli anni cinquanta é stato autore Rai), capace di rafforzare le proprie difese immunitarie, riconoscendo e accettando in ogni istante la sua maschera.

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