Blog NET NEUTRALITY – Marc Augé, un antropologo sul metrò

È scomparso ad 88 anni l’antropologo francese, noto al grande pubblico per aver coniato il concetto di “nonluoghi”, spazi di transito che non ci appartengono in cui ci si incontra senza vederci

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Da “Un antropologo su Marte” di Oliver Sacks all’antropologo per eccellenza che sale in metrò per ritrovarci. “Nonluoghi”, probabilmente negli ultimi anni è la definizione più utilizzata nel mondo accademico e non, a volte, direi molto spesso, utilizzata a sproposito, abusata per chiudere e uscire da un lungo ed estenuante scambio quando si è “virtualmente” sulle gambe, magari in apnea e privi di forze, senza più risorse di pensiero. Al tempo in cui il tempo prevale sullo spazio, la “surmodernità” ci lascia in solitudine sempre più intensa in luoghi consacrati a migliaia di persone. In questo tempo che diventa tutto presente, Marc Augé faceva anche l’elogio della bicicletta. Un mito oggi probabilmente maturo per trasformarsi in utopia ecologista e democratica. Al di là dei testi più conosciuti di Marc Augé (su tutti, “Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità”, del 1992) è bello poi imbattersi in altri piccoli gioiellini, vedi appunto “Il bello della bicicletta” del 2008, perché trovi il pensiero in potenza, il pensiero che racchiude la forza propulsiva ad ingranaggi, fino ad aggirare quei nonluoghi e arrivare su verso appunto l’annullamento delle differenze di classe, che induce all’uguaglianza.

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La bici trasforma le vie urbane in spazi da scoprire con la cadenza regolare della pedalata e riapre così le porte al sogno e all’avvenire. Negli anni ’80, dopo aver viaggiato e studiato in Africa, decide di visitare la metropolitana di Parigi ponendo le basi del concetto di nonluogo, ma con questa apertura compie un altro passo decisivo per l’antropologia moderna: riporta lo sguardo etnografico e la forma romanzo allo studio delle società moderne e consumistiche. Il rimpatrio dell’antropologia verso le società occidentali è sicuramente una delle grandi rivoluzioni di Marc Augé, passaggio cruciale che ha dato vita nuova allo studio dell’uomo contemporaneo. Si potrebbe anche obiettare sulla questione del transitare e dell’identità che non sarebbero da localizzare soprattutto negli ultimi trenta anni in un luogo ben determinato. Oggi saremmo più a favore di identità plurali, viaggianti, ibride, sincretiche. L’aspetto delle differenze anche in un aeroporto è una questione davvero affascinante, non c’è soltanto ciò che è uguale ed omologato in questi nonluoghi per antonomasia.
Il concetto di identità di Marc Augé legato ai nonluoghi rischia di essere a volte troppo tradizionalista: c’è qualcosa di più complesso che viene fuori oggi anche dal mondo digitale, mondo che Marc Augè ha etichettato in toto, nei suoi studi, altro nonluogo senza speranza.

Tutti quei luoghi che non hanno i segni del passato sono in realtà essenziali non tanto per comprendere se e quando ci sarebbe assenza di identità, ma per aprire il dibattito evidentemente più determinante, quello sul rapporto tra spazio e luogo, dibattito che ha visto Mar Augé punto di riferimento assoluto. Ha incontrato i tempi, forse li ha precorsi, e il fenomeno della globalizzazione parte ovviamente da questi temi: è il capitalismo avanzato che si guarda allo specchio. Tutti partecipano a questo banchetto? Il mondo attuale è ancora dentro questa bolla, certamente con più consapevolezza, con atteggiamento più critico, ma siamo ancora pienamente in questo paradigma ed anche per tale motivo Marc Augé resta fortemente attuale e imprescindibile. E la rete? Beh, la natura disumanizzante del nonluogo non è applicabile senza riserve. Le società digitali non saranno quelle analogiche ma sono pur sempre società con strutture di potere, dimensioni economiche, relazionali, squilibri, disuguaglianze, fatte in ogni caso da essere umani. Emblematico è un passaggio toccante, a pagina 40 di “Un etnologo nel metrò” del 1992: “Il metrò, proprio perché ci accosta all’umanità quotidiana, svolge il ruolo di una lente di ingrandimento e ci invita a considerare un fenomeno che in sua assenza rischieremmo o forse tenteremmo di ignorare….

Se il mondo nella sua maggioranza ringiovanisce e perché noi ce ne allontaniamo”. Qui è Marc Augé che da etnografo, si accorge, passeggiando sottoterra, del mondo dei giovani. Lui si vede (torna ancora lo specchio…) il passato nell’oceano della metropolitana. L’eterno presente era già prepotentemente oggetto di studio in Marc Augé. Inesorabilmente diventa necessario ricercare il senso in un altro agile e breve saggio del 2017, “Saper toccare”, in cui in qualche modo risponde ai diversi dubbi sollevati nei suoi confronti, soprattutto quando ha trattato il mondo digitale come nonluogo senza se e senza ma. Nel nostro tempo segnato da un individualismo sempre più spiccato, non solo si tende a misconoscere la parte di umanità generica che c’è in ciascuno di noi, ma si giunge persino al paradosso di affidare l’onere della prova della propria esistenza agli altri. Come i luoghi hanno sullo sfondo i nonluoghi così l’uomo surmoderno ha sullo sfondo il modello seriale di un io tracotante, iperconnesso, disorientato, in preda alla paura e sotto lo scacco della solitudine. Ma non tutto è perduto: nella stretta di mano (bandita da qualche anno, però…) che suggella la promessa suprema prima del naufragio il toccare si fa segno tangibile del fatto che “Un altro mondo è possibile”(ultimo testo del 2017). Ecco, è sempre più complicato creare “situazioni toccanti” e Marc Augé con Christian Metz e il cinema avrebbe trovato il suo (non(luogo ideale, infinito: “Con il film stabilisco una relazione singolare… Ciò che sperimento è del tutto speciale: mi trovo all’interno del fantasma di un altro”.

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