Blog NET NEUTRALITY – San Francesco e Topolino

San Francesco, Charlie Parker e Giulio Giorello… si può amare senza ascoltare?

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Si può dire che San Francesco è il più grande santo della storia? Colui che si è spogliato di tutti i suoi averi per una missione, colui che parlava con gli animali, con il lupo cattivo, e che probabilmente però ha provocato anche la prima migrazione volatile di massa? A sentir Massimo Troisi sembra proprio così, San Francesco è il più grande, ma quegli uccelli ad un certo punto, cinguettando tra di loro, volavano dai rami, scocciati e infastiditi dai buoni propositi e dai reiterati messaggi universali. Si può dire allora che Charlie Parker, alias Bird, è il San Francesco moderno? Colui che andava nei parchi e nei boschi a suonare, anche fino a 15 ore al giorno, trasmutando in note il volo degli uccelli, dei suoi birds, la sua più grande passione, dopo il sax alto, ovviamente. Colui che tutti i santoni della critica affermano senza paura di sbagliare che è stato il più grande in assoluto, ma poi non lo ascoltano mai. Ad agosto prossimo ricorre il centenario della nascita e proprio nei giorni scorsi è stata scoperta un’intervista radiofonica inedita del 1952 (disponibile su bobreynoldsmusic.com), che Bird rilasciò a Paul Desmond. Circa 13 minuti folgoranti in cui si riconoscono i debiti verso la musica classica e soprattutto verso Vivaldi e Stravinsky, in cui si capisce anche perché quando vai a casa di quei santoni della critica, ti mostrano la loro collezione ma è improbabile mettano su un disco con Ko-Ko, Lover Man, Parker’s Mood, Night in Tunisia.

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Metteranno sicuramente (seppur mostri sacri…) Miles Davis, Keith Jarrett, Dave Brubeck, con Kind of Blue, The Köln Concert, Take Five. Si può amare senza ascoltare? Lo chiameranno sempre Bird perché sarebbero in buoni rapporti confidenziali, un po’ come quelli che chiamano Ernest Hemingway, Mr. Papa. Perché di Charlie Parker interessa la vita dissoluta e devastata, di quanti polli fritti ha ingurgitato. Il delirio di autodistruzione di Parker è solo un passaggio, la sua musica non morirà neanche dopo la nostra estinzione, tanto non l’ascoltavamo neanche prima… La musica di Parker invece l’ascolteranno i suoi Birds e vibrerà perennemente lungo i fusti arborei dell’incoscienza. Avrà un movimento verso il basso, una sfiammata in coda, sprofonderà nelle radici profonde e ancestrali fino a raggiungere la “musica povera”, la musica della terra, la musica che nasce dal comune letame e dal fango, per un fiore variopinto. Laggiù in fondo, incastonati, sono andati via in questi mesi “contagiosi”, risucchiati da un’onda anomala, pezzi imprescindibili del jazz, di quella musica che non cura il corpo ma esclusivamente l’anima. Il macabro aggiornamento dei caduti annovera il britannico Keith Tippett, icona del jazz rock, pianista e tastierista, tra gli altri, dei King Crimson. L’accanimento verso il jazz è emblematico, sembra essere il topolino dinanzi alla pandemia. Ma nella filosofia del topolino puoi estrarre linfa vitale, quella necessaria per tenere unite e sempre in continua contaminazione, cultura e accademia, improvvisazione e studio profondo, senza confini, senza freni. Topolino è stato il filosofo più provocatorio del Novecento (personalmente aggiungerei anche un piccolo bambino dalla testa tonda, Charlie anche lui…). Perché la ricerca, come l’avventura, non ha fine.

Giusto, Giulio Giorello? Se ne è andato a 75 anni, per complicazioni da Covid-19, un altro grandissimo riferimento culturale ed intellettuale degli ultimi 30 anni almeno. Colui che parlava con Topolino e trovava il ribelle capace di battersi contro ogni forma di prevaricazione. Colui che avrebbe messo su Charlie Parker, ovviamente non come sottofondo, ma “sprofondo”. Colui che con i suoi testi, i suoi studi, la sua collana editrice “Scienza e idee”, ha rivoluzionato il sapere scientifico e umanistico, senza soluzione di continuità, senza mai perdere di vista la sua ideale visione, ipotetica folgorazione personale: un topo nella vastità del Western. Bene, proprio quel roditore sempre più dubbioso sulla natura dell’universo e il complesso mondo di “uomini e topi”, lo ritrovai per un attimo nel 2007 al Festival di Venezia, quando ebbi l’occasione di seguire per Sentieri Selvaggi un convegno dal titolo “Lido Philo”, in cui Filosofia e Cinema si incontravano. Giulio Giorello dichiarò l’amore per il Western, partendo dalla famosa battuta di John Ford, cercando di divincolarsi dalle grinfie della scontatezza: “ma io veramente faccio Western…”. Così allora Giulio Giorello: “io non sono un critico cinematografico, a me piacciono i western…”. Non bastano i cavalli al galoppo o le nuvole sparse nell’enormità del cielo a fare il Western, ma “la risoluta tempra del pensiero si sbiadisca e imprese di lungo corso si insabbino…” (W. Shakespeare)

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